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CRONACA GIUDIZIARIA
27 Ottobre 2025 - 19:10
Cinque anni lontano dall’Italia, tra le strade di Barcellona e un appartamento affacciato sulla Avinguda Diagonal. Questa è stata la “latitanza dorata” di Vittorio Raso, 45 anni, collaboratore di giustizia, che ieri mattina ha raccontato al tribunale di Torino la sua vita tra fuga e affari criminali. Addosso un cappellino da baseball bianco e giubbotto scuro, Raso è apparso ripreso di schiena davanti al collegamento video: il collaboratore ha parlato dei suoi giorni lontano dalla giustizia e della gestione di un traffico internazionale di droga che continuava a muovere dall’estero.
Fu arrestato il 23 giugno 2022 in Spagna dopo quattro anni di latitanza.
Raso ha spiegato come, nonostante la fuga, continuasse a coordinare l’ingresso di sostanze stupefacenti in Italia tramite corrieri fidati. Ma il suo racconto non si è limitato alla droga: ha parlato anche dei legami tra criminalità organizzata e mondo del calcio torinese.
Già nel 2012, personaggi legati alla ’ndrangheta calabrese erano riusciti a infiltrarsi nella vendita dei biglietti della Juventus. Vittorio Raso, all’epoca, vendeva ticket forniti gratuitamente da un gruppo ultras noto come i Bravi Ragazzi. «Avevo preso una fetta dello stadio», ha ammesso, descrivendo come gli affari illeciti si intrecciassero con il mondo apparentemente innocuo delle curve e dei tifosi. Le parole di Raso hanno retrodatato di qualche anno l'interessamento della 'ndrangheta verso un business che, a quanto pare, poteva fruttare più di 20 mila euro a partita. Pacchetti di tagliandi in cambio del mantenimento dell'ordine.
Davanti al pubblico ministero Valerio Longi, Raso ha ricostruito la rete di contatti, corrieri e affari, raccontando un sistema complesso e ben organizzato, capace di resistere anni di indagini. «Per gestire i traffici utilizzavo canali come EncroChat, Sky ECC e altri sicuri. Li utilizzavo anche per comunicare con i familiari». Durante l’udienza ha quindi ricostruito con precisione i legami con altri protagonisti coinvolti. Tra questi Riccardo De Simone , figlio di un ex commissario di polizia, indicato come colui che «assunse il controllo della situazione» in Italia, occupandosi della gestione del magazzino e della distribuzione della sostanza stupefacente. Raso ha chiarito che la droga proveniva dalla Spagna sotto la sua supervisione, per poi essere consegnata a De Simone – condannato in appello a nove anni – che ne curava lo stoccaggio e la successiva distribuzione.
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