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Il caso
06 Novembre 2025 - 20:48
Un furgoncino bianco fermo all’angolo fra via Sabotino e corso Francia. È da quell’immagine, sfocata ma decisiva, che gli investigatori hanno ricostruito il delitto di Marco Veronese, 39 anni, imprenditore che installava antifurti. Dalle riprese si vede un uomo incappucciato scendere, attendere e poi colpire: oltre venti coltellate, rapide, precise, senza che la vittima possa difendersi. Nessuna colluttazione, nessuna esitazione. Dopo l’agguato, il killer risale sul furgone e sparisce nel buio.
I carabinieri della di Rivoli hanno seguito il percorso del mezzo fino a zona Parella, dove il segnale si perde. Da lì la traccia si sposta su un telefono: 3.400 chiamate in due anni alla ex di Veronese, Valentina Becuti. Quel numero porta a Michele Nicastri, 49 anni, ingegnere informatico, volto noto solo per la sua compostezza. Un professionista apparentemente irreprensibile, con la passione per il triathlon e un profilo Linkedin che vietava collaborazioni con aziende di armi, tabacco o alcol. Veronese lo aveva notato quella notte. Le sue ultime parole restano in un messaggio audio, ora agli atti dell’inchiesta, inviato pochi minuti prima di morire a un’amica d’infanzia con cui aveva appena cenato: «C’è un tipo incappucciato, è uno che già l’anno scorso stava qua, mi ha bucato le gomme l’altra volta. Stavolta ho il coltello e lo buco io». Forse aveva capito, forse no, ma sapeva che quell’uomo era lo stesso che lo aveva preso di mira mesi prima. Secondo la Procura di Torino, che contesta a Nicastri l’omicidio premeditato aggravato da futili motivi, il killer non era lì per un avvertimento. Era andato a uccidere. Non ci sono immagini di un tentativo di danneggiare l’auto, come lui ha sostenuto durante l’interrogatorio-confessione davanti al pm Mario Bendoni. «Volevo impedirgli di andare a prendere i bambini il giorno dopo», ha detto riferendosi ai tre figli avuti da Valentina Becuti. Una giustificazione che non convince gli inquirenti. A incastrarlo è stato anche il suo modo da tecnico di muoversi. Nicastri aveva lasciato il telefono a casa, sapendo che avrebbe potuto tradirlo. Ma non è bastato. Le telecamere, i movimenti dell’auto, i tabulati telefonici e i riscontri sui suoi spostamenti lo hanno inchiodato. Subito dopo il delitto, è tornato a casa, si è cambiato, si è liberato dei vestiti e dell’arma: «Ho fatto più lanci nella Dora», ha ammesso indicando il luogo, ma i carabinieri non hanno ancora ritrovato nulla. Poi la fuga. Si è spostato nella casa di famiglia a Bardonecchia, dove è rimasto per giorni, pianificando una possibile partenza all’estero e spostando denaro tra conti correnti. Un tentativo disperato di cancellare le tracce, mentre i carabinieri, ormai, lo seguivano passo dopo passo. Il 3 novembre, dodici giorni dopo il delitto, Nicastri è tornato nella casa di strada del Lionetto, a Torino. E gli investigatori hanno deciso di chiudere il cerchio. L’hanno fermato prima che potesse scomparire davvero.
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