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Il caso

Delitto di Collegno «Volevo solo proteggerla»: l’ossessione che ha armato la mano di Nicastri

Le tensioni tra Veronese e la ex, in realtà, erano emerse solo nell’estate scorsa, quando lui aveva chiesto di formalizzare l’affidamento congiunto dei figli

Delitto di Collegno «Volevo solo proteggerla»: l’ossessione che ha armato la mano di Nicastri

Tre anni prima di uccidere Marco Veronese, Michele Nicastri era già andato sotto casa sua. Non per caso, non per un confronto: per tagliargli le gomme. «Non mi ero appostato, la macchina era già lì. Sono andato e ho tagliato le gomme — ha raccontato agli inquirenti — perché Marco voleva presentarsi, o comunque fare confusione, alla recita dei bambini». Era già cominciata allora, secondo gli atti, l’ossessione dell’ingegnere informatico per l’ex compagno della donna che amava. «Ero già innamorato di Valentina — ha detto — e con quel gesto volevo che potesse essere più tranquilla, perché viveva in uno stato di costante terrore».

Un terrore, però, che non risulta dalle dichiarazioni della donna, Valentina Becuti, ex di Veronese e madre dei suoi tre figli. Negli atti non ci sono elementi che indichino minacce o comportamenti violenti. «Probabilmente quel terrore esisteva solo nella mia testa», ha ammesso lo stesso Nicastri, oggi in carcere con l’accusa di omicidio volontario. Le tensioni tra Veronese e la ex, in realtà, erano emerse solo nell’estate scorsa, quando lui aveva chiesto di formalizzare l’affidamento congiunto dei figli. Lei, nel frattempo, si era rivolta a un’agenzia di investigazioni private per controllare i movimenti dell’ex compagno. L’investigatrice, ascoltata dagli inquirenti, ha raccontato che l’uomo trascorreva i weekend a Nizza Monferrato, in una casa dove viveva con una donna e tre bambini: «Quella donna era Anna Masuzzo — ha precisato — con cui Veronese aveva una relazione stabile da quattro anni». Nessuna cattiva frequentazione, nessun comportamento sospetto: «Da settembre — ha aggiunto — i suoi spostamenti erano solo lavorativi». Dai pedinamenti non era emerso nulla di compromettente, ma per Nicastri non bastava. Voleva “verificare di persona”. Così, come ha ammesso, aveva iniziato una sua “attività investigativa artigianale”. «L’ho contattato fingendomi un cliente — ha spiegato — con un numero anonimo su WhatsApp. Gli ho chiesto un preventivo sul suo lavoro, sapendo che spesso si recava a Carmagnola, dove abitava una sua amica d’infanzia con cui aveva rapporti di amicizia».

«L’idea era farlo andare lì, con la scusa del preventivo — ha detto ancora Nicastri — così potevamo vedere dove si muoveva, magari veniva fuori qualcosa di utile». Nicastri parla al plurale, “noi”, includendo Valentina nei suoi piani, anche se non è chiaro quanto lei sapesse o approvasse. Marco Veronese aveva risposto che avrebbe potuto fare il sopralluogo tra il 4 e il 6 novembre. Non ha fatto in tempo. Nicastri lo ha ucciso prima, sotto casa dei suoi genitori, il 23 ottobre.

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