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il retroscena

Parella, i vicini del killer: «Usciva in bici e parlava poco. In casa c'erano spesso i bambini»

Parlano gli inquilini del condominio dove abita Michele Nicastri, l'uomo che ha confessato l'omicidio di Marco Veronese

Michele Nicastri, nel riquadro, abita in strada del Lionetto, a Torino

Michele Nicastri, nel riquadro, abita in strada del Lionetto, a Torino

Usciva al mattino e andava a correre. Oppure inforcava la sua bicicletta, lui che gareggiava da anni così come tutta la sua famiglia, e pedalava per qualche ora. Spesso era fuori per lavoro e le persiane rimanevano chiuse per settimane. Nell'appartamento ai confini tra zona Parella e Pozzo Strada, faceva venire i bambini della compagna, la donna a causa della quale il 23 ottobre ha assassinato a Collegno Marco Veronese. Questa era la vita di Michele Nicastri, l'ingegnere e imprenditore informatico di 49 anni che ha confessato il delitto di via Sabotino. «Era un uomo molto riservato. Abito nell'alloggio al piano di sotto e sentivo spesso il vociare dei bambini. Erano molto vivaci, erano in tre ma in alcuni momenti sembravano in trenta. E sì, vedevo arrivare anche una donna», ha raccontato una vicina di casa dell'uomo che ha commesso il delitto.

In strada del Lionetto, Michele Nicastri abita al secondo piano. Non è proprietario ma affittuario e ci risiede da non più di sette o otto anni. Un palazzo, quello di strada del Lionetto, realizzato dall'impresa Varo srl nel 2006-07, dunque di recente costruzione. Nicastri, appunto, non parlava molto col vicinato e nell'alloggio adesso sotto sequestro abita da solo. «Ci siamo parlati una volta sola per una perdita d'acqua che interessava il suo e il mio appartamento, poi non ho più avuto occasione di conversare con lui», racconta un'altra vicina.

Il blitz dei carabinieri in casa sua è del 3 novembre, il giorno prima della confessione e del fermo. I militari sapevano già che Nicastri era il killer di Marco Veronese e sono andati da lui perquisendo il suo alloggio alla ricerca di altri indizi per incastrarlo. Magari la felpa col cappuccio usata quella notte per travisarsi, o altri indumenti. Non il coltello usato per uccidere Veronese, di cui l'imprenditore informatico si era già sbarazzato dopo il delitto del 23 ottobre scorso. 

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