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Il caso
18 Dicembre 2025 - 17:02
Sara Cherici
“Non c’è traccia di reale resipiscenza davanti a un fatto di gravità inaudita”. La Corte d’appello di Torino non usa mezze parole. Sara Cherici, oggi ventunenne, diciottenne allora, unica maggiorenne della baby gang dei Murazzi, deve scontare quattordici anni di carcere. Quattordici anni per aver fatto parte di qualcosa che ha spezzato la vita di Mauro Glorioso, studente di medicina, ridotto tetraplegico da una bici lanciata nel vuoto. Le parole dei giudici sono fredde, taglienti: Cherici ha recitato una parte. Un copione studiato per ottenere clemenza. Nessuna emozione, nessun pentimento reale. Solo il vuoto. Con i quattro complici minorenni, già condannati in via definitiva, ha partecipato al branco. “Animato da spregio, da odio ingiustificato verso chi non aveva colpa”, scrivono i magistrati. Non ha lanciato la bici, ma ha sostenuto l’azione. Non ha fatto nulla per fermarla. Non ha detto nulla. La sua età, la sua maggiore responsabilità, non hanno mosso un gesto. Gli avvocati hanno parlato di disagio familiare, di problemi nello sviluppo della personalità. La Corte non ci sente. La legge non guarda alle scuse, non cede al pietismo. Quattordici anni. La riduzione della pena da sedici a quattordici anni è tutto ciò che può concedere. Il 20 gennaio 2023. I Murazzi. Tre amici di Cherici lanciano la bici. Colpisce Mauro. La vita cambia per sempre. Cherici guarda, tace, scappa. Cancella messaggi, cancella prove, come se potesse cancellare il dolore che hanno inflitto. Qualche minuto dopo il lancio una telecamera di un self 24 ore la riprende mentre bacia appassionatamente il suo ragazzo. Poi il processo. Tutti i minorenni scelgono il rito abbreviato. Sconto di un terzo della pena. Cherici no. Rito ordinario. Vuole dimostrare la propria innocenza. Non ci riesce. Colpevole anche in secondo grado. Cassazione? Forse. Fino ad allora, carcere. Prima del verdetto, aveva parlato. “Voglio pensare a Mauro e alla sua famiglia. Sono consapevole della sofferenza. Non posso alleviarla. Voglio continuare la psicoterapia, indipendentemente dal mio destino. Mi sento più matura, più responsabile.” Parole che suonano vuote davanti alla ferita che ha inflitto. Parole che non cancellano la bici che cade, non cancellano un ragazzo immobile, non cancellano l’odio e lo spregio di quella notte.
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