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Il caso

Murazzi, la folle idea di lanciare la bici «ci è venuta al bar»

Ci sono voluti 27 secondi per rovinare una vita

Murazzi, la folle idea di lanciare la bici «ci è venuta al bar»

«Ci è venuta un’idea stupida». Così la chiamano. Come se bastasse una parola leggera per spiegare un gesto che ha inchiodato un ragazzo a una vita immobile. Mauro Glorioso era in fila per entrare in discoteca, ai Murazzi. È diventato una vittima per caso, come accade solo quando l’irresponsabilità incontra la violenza. Cinque ragazzi seduti a un tavolino della movida. Alcol, qualche canna, il rumore della notte che anestetizza il cervello. Poi la decisione. Non un attimo di follia, ma una scelta. Ventisette secondi: tanto è bastato per sollevare una bicicletta, trascinarla alla balaustra e spingerla nel vuoto. Ventisette secondi per distruggere una vita. La bici pesava 23 chili. Cade da oltre dieci metri. È il 21 gennaio 2023 quando colpisce Mauro Glorioso, studente di medicina. Da quel momento è tetraplegico. Fine della storia.
O meglio, inizio di un’altra, infinitamente più crudele. Le motivazioni della sentenza d’appello non concedono attenuanti morali. Sara Cherici, oggi ventunenne, allora diciottenne e unica maggiorenne del gruppo insieme a Victor Ulinici, è stata condannata a 14 anni di carcere. In primo grado erano 16. «Non c’è traccia di reale resipiscenza davanti a un fatto di gravità inaudita», scrivono i giudici. Nessun pentimento autentico. Nessuna emozione. Solo una recita, un copione studiato per ottenere uno sconto. Cherici non ha lanciato la bici, è vero. Ma ha sostenuto l’azione, non l’ha fermata, non ha detto una parola. Ha guardato e basta. Che è già colpa. Dopo, è scappata. Ha cancellato messaggi, come se eliminare una chat potesse cancellare una colonna vertebrale spezzata. Pochi minuti dopo, una telecamera la riprende mentre bacia il fidanzato davanti a un locale aperto tutta la notte. La normalità che continua, mentre la quotidianità di qualcun altro è finita. Nel fascicolo c’è anche il diario di una minorenne del gruppo: «Eravamo ubriachi, non volevamo colpire nessuno. Non ce ne siamo resi conto». Come se l’intenzione potesse pesare più del risultato. Come se l’idiozia fosse un’attenuante. I minorenni hanno scelto il rito abbreviato. Sconto di pena. Cherici, difesa dall’avvocato Nicola Gianaria, ha scelto il rito ordinario. Colpevole anche in appello. Resta la Cassazione. Prima del verdetto aveva parlato di maturità, consapevolezza, psicoterapia.
Parole.
Solo parole. Che non fermano una bici che cade. Che non restituiscono le gambe a un ragazzo. Che non cancellano il dramma di quella notte.

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