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10 Aprile 2022 - 07:47
La grande cartina satellitare apposta sulla Porta 5 di Mirafiori dalla Fiom, all’ingresso principale di una palazzina uffici che da tempo ormai vede dirottate altrove le proprie maestranze, quasi commuove per la capacità di rendere visivamente quanto la fabbrica sia una pezzo enorme di questa città. Un decimo, più o meno, per un occhio incerto. Il più grande stabilimento che Stellantis ha in Europa da quando si chiamava Fiat in cui, anno dopo anno, si contano sempre meno lavoratori tra cassa integrazione e incentivi al pensionamento.
«A vederla così dall’alto non sembra la fabbrica in cui sono entrato da ragazzo, per cui non so se ci sia ancora un futuro. Lo spero, ma non è così che mi pare stiano andando le cose». Roberto Berruto lo racconta con un orgoglio tale da non stupire che ricordi anche il giorno preciso della sua assunzione. Il primo luglio di un mitico 1957. Quando, proprio dal suo stabilimento, sarebbe uscita la prima Cinquecento. «Oggi la rifanno elettrica ma le posso assicurare che, allora, c’era più speranza. Oggi non vedo che pensionamenti e cassa».
Quelli che allora erano gli operai assunti per lavorare ad una domanda crescente di autovetture, ora, sono spalla a spalla davanti ai cancelli con chi in pensione va in anticipo. Uno accanto all’altro a raccontarsi come la “feroce”, in oltre sessant’anni, sia cambiata.
«Io, a differenza sua, sono appena andato in pensione. Giusto da una settimana» racconta Salvatore Pasqualino per cui era importante, comunque, manifestare insieme a colleghi e cittadini che hanno scelto di partecipare alla “marcia” organizzata da qui a luglio, ogni sabato, dai metalmeccanici della Cgil. «Davvero è tutto cambiato, anche dentro, non sembra di lavorare per una multinazionale, sembra tutto lasciato un po’ andare e si vede come stanno depotenziando, io stesso ho pensato: scelgo di andare in pensione prima o attendo? E se questo treno, poi, non passa più?» riflette Pasqualino, ancora fiero del suo essere operaio ma con quella leggerezza che appartiene solo a chi, adesso, il padrone lo può raccontare senza timore.
Guido Cappello, invece, indossa la tuta. «Sono orgoglioso del mio lavoro e della mia esperienza, lavoro qui da quasi vent’anni e anche io sono preoccupato del fatto che non sembri importare a nessuno degli esodi incentivati o della cassa integrazione per cui, davvero, viene da pensare che tutto sia destinato a finire» sottolinea l’operaio. Come lui la maggior parte di questi lavoratori continua a essere fiduciosa. «
Se si inverte la tendenza e ci si confronta su quelle che potranno essere le strategie in futuro si potrà dire che per Mirafiori ci sarà un domani» aggiunge Guido Siviero. «Ma non neghiamoci, però, una pesante constatazione di quella che è la realtà: gli unici investimenti che abbiamo visto dirottare su questa fabbrica sono quelli per mandare via i lavoratori, mentre l’unica produzione effettiva che c’è stata è quella delle ore di cassa integrazione».
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