Trump elogia
Meloni con toni enfatici, ma dietro i complimenti si apre uno spiraglio reale:
Trump è disposto a dialogare con l'Europa, passando da Roma. Un riconoscimento simbolico per la premier, che si gioca la carta dell'autorevolezza internazionale. Ma con
Trump, ogni apertura può trasformarsi in chiusura. E la partita è appena cominciata.
Al centro del dialogo, un dossier pesante: i dazi sulle esportazioni europee, i rapporti commerciali congelati e il riavvicinamento economico tra le due sponde dell’oceano. Ma Meloni sa che per parlare di economia, con Trump, serve prima parlare di forza.
E infatti annuncia: “L’Italia arriverà al 2% della spesa militare. Lo diremo chiaramente al prossimo vertice Nato”. Un messaggio chiaro, confezionato apposta per essere recapitato alla Casa Bianca. Perché se l’Europa vuole sedersi al tavolo con gli Stati Uniti, deve presentarsi con le carte in regola. E una difesa comune ancora lontana rende necessario – secondo Meloni – dimostrare impegno anche individuale.
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Il messaggio è doppio: rassicurare Washington e zittire le critiche interne. Perché ogni euro in più alla Difesa è un euro in meno da spiegare agli italiani.
Ma la premier non si fa illusioni. “Non posso fare un accordo a nome della Ue”, ha detto con lucidità. È qui che entra in gioco il vero nodo politico: l’Italia può fare da ponte, ma non da mediatore definitivo. Eppure, Meloni punta proprio su questo ruolo ibrido, da alleata atlantica ma anche da interlocutrice strategica per Bruxelles.
Trump, dal canto suo, ha aperto. Ma ha anche ricordato che “gli Stati Uniti hanno ciò che tutti vogliono”. Una frase ambigua, volutamente vaga. Potenza economica? Supremazia militare? Influenza geopolitica? Forse tutto insieme. Ma anche un avvertimento: chi vuole trattare, deve sapere con chi ha a che fare.
Tra sorrisi, promesse e patti ancora da scrivere, l’incontro Meloni-Trump segna un primo passo. Ma resta l’incognita più grande: quanto vale davvero una stretta di mano con Trump, oggi?