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«Una trattativa segreta per fermare il conflitto sacrificando Mariupol»

carlo cabisiogiu
È stato il primo ufficiale italiano ad assumere per conto della Nato il comando di una forza militare internazionale, la Kosovo Force. Comandante del Comando Operativo di vertice Interforze, coordinatore delle missioni militari italiane all’estero, dal giugno 2003 al febbraio 2004 è stato consigliere militare della missione italiana in Iraq. Servirebbero almeno due pagine fitte fitte per mettere in fila tutti gli incarichi ricoperti e le onorificenze ricevute dal generale Carlo Cabigiosu, 82 anni, nato a Brunico e vissuto un po’ ovunque, compresa Torino, dove si è laureato in Scienze Strategiche. E leggendole si scoprirebbero le tappe di una carriera fatta tutta sul campo. Anche in mezzo alle bombe. A Baghdad e nei Balcani, nel deserto e nel cuore di quell’Europa che ora è minacciata da un vicino russo che forse, se l’Europa si fosse dimostrata più forte, non avrebbe osato fare ciò che sta facendo in Ucraina. O almeno non lo avrebbe fatto così. Parla anche di questo Cabigiosu all’hotel Sitea, ospite, con la moglie Bettina, al pranzo del lunedì del movimento Dumsedafe organizzato da ll ’infaticabile Piero Gola che per l’occasione ha invitato anche il generale Giorgio Tesser e il console onorario dell’Ucraina, Dario Arrigotti. Ricostruisce la storia del Donbass, delle elezioni dei presidenti fino a Zelensky, elenca numeri che spiegano come la Nato sia più forte della Russia, mostra mappe dai confini incerti e incandescenti, senza tirarsi indietro di fronte alle domande più angoscianti che in questi giorni tutti si fanno, anche se soltanto a bassa voce.

Generale, partiamo dall’incubo degli incubi. Dobbiamo credere alla minaccia nucleare di Putin? Non c’è una risposta, non si sa. Putin si è dimostrato molto imprevedibile e dobbiamo considerare imprevedibile una sua reazione a una eventuale sconfitta.

Ma lei è preoccupato? Aspetterei a preoccuparmi per almeno quindici giorni. Perché nei prossimi 15 giorni io auspico che l’Ucraina faccia qualche concessione sul tavolo delle trattative, che i russi si accontentino di quello che potranno ricavare e che i problemi non risolti nell’immediato possano esserlo in un certo lasso di tempo nei negoziati.

Previsioni? L’esercito ucraino è destinato a soccombere, e mi pare che anche Zelensky inizi a pensare che sia meglio trovare un accordo prima di essere tutti annientati.

Quindi, alla fine, cederà? Mariupol sta per cadere. E io mi permetterei di dire che negli accordi segreti per cui stanno sicuramente lavorando le due parti, questa è la città destinata ad essere abbandonata a se stessa dagli ucraini. Un trattato si può fare solo se la Russia può reclamare di avere una qualche vittoria. La vittoria di Putin è Mariupol, ma così salviamo Kiev e salviamo forse Odessa. Questo, però, andrà verificato al tavolo delle trattative.

Dal punto di vista militare, la Russia non sta facendo una gran figura… Pensavano di fare una operazione lampo, una specie di blitzkrieg come quelli che piacevano a un antenato del signor Putin con i baffetti. Ma Putin ha toppato, da tanti punti di vista.

Quali? Pensavano a una penetrazione rapida con le formazioni corazzate, ma dietro ai carri armati serve un supporto logistico che la Russia ha dimostrato di non avere. Poi Putin pensava di conquistare facilmente i territori degli ucraini russofoni, ma si è trovato anche loro a combattere contro di lui. Inoltre, pensava che Zelensky fosse un comico che, appena visto che le cose andavano male, sarebbe scappato in Polonia. E invece si è messo una maglietta militare e ha dimostrato una buona capacità di leadership: sa parlare bene agli ucraini, li convince a resistere, pone regole rigide affinché i maschi non lascino il paese e si fermi no a combattere.

E Putin non l’ha presa bene... No, tanto che è stato costretto a ricorrere all’intervento dei miliziani siriani e ceceni, che non hanno pietà per nessuno, difficili da controllare.

E le forze ucraine, come le vede? L’Ucraina ha 42 milioni di abitanti. E i numeri ci spiegano quante difficoltà abbia oggi l’esercito russo nel prendere il controllo della situazione. Qualcuno è scappato, è vero. Ma la maggior parte degli uomini ha deciso di difendersi dall’invasione con le armi. Per Putin non è facile, anche se fossero solo 5 milioni le persone armate, perché sono anche armate bene. Dalla Nato, dall’Unione europea e dagli Stati Uniti stanno arrivando armi molto, molto efficaci.

Quali? I Javelin, che sono missili controcarro “fire and forget”, “spara e dimentica”: io guardo il carro armato, schiaccio il pulsante, e il missile, che costa 80mila dollari, con un sensore cerca il calore, vola da solo verso il puntamento iniziale, ma non va a colpire il fianco, che è quello meglio protetto. Vola sopra e va a colpire la parte più delicata, la torretta. E l’equipaggio muore. Poi ci sono i Law, che si usano a 80-100 metri, che in città vanno benissimo per ostacolare l’accesso alle formazioni corazzate.

Nato-Russia: quale è il rapporto tra le forze che possono mettere in campo? In servizio attivo, in tutta la Nato, ci sono 3 milioni e 500mila uomini. La Russia arriva a 800mila. Numeri che fanno una certa differenza. La Nato può schierare 7.500 carri armati, La Russia 2.500. E soprattutto la grande forza della Nato è l’aeronautica: 6.000 aerei contro 1.500. Anche come testate nucleari la Nato non sta male, ma questo è un discorso che fa venire un po’di brividi a tutti perché qualora venissero usate porterebbero veramente alla terza guerra mondiale.

Mosca per ora si è limitata alle minacce. Ma non è che dietro la spavalderia di Putin c’è anche un po’ di debolezza mostrata dall’Europa? Quello che posso dire è che ci sono colpe politiche che vanno ascritte all’Unione Europea perché da tempo si conoscevano alcune debolezze di cui soffrivamo, ma non è mai stato fatto tutto il possibile per cercare di ovviare al problema.

Ad esempio? La mancanza di coesione interna all’Unione le toglie rilevanza anche sul piano internazionale. Abbiamo avuto crisi nel Mediterraneo in cui l’Europa è stata praticamente assente, in cui si è fatta travolgere dagli avvenimenti. In Siria, in Libia, nel Sahel. E questo ha avuto delle conseguenze che paghiamo ancora oggi.

In che senso? Come al solito, un vuoto di potere, consente ad altri protagonisti di entrare in azione. E questi altri protagonisti sono stati alcuni Paesi arabi come l’Egitto, ma poi anche i Russi. Quella zona è diventata un rifugio per il guerriglieri sconfitti dello Stato Islamico in Iraq e in Siria. E l’Europa ha dimostrato tutta la sua completa debolezza. Vede, non è detto che si debba sempre fare la guerra, molte cose si possono risolvere sul piano diplomatico, ma un certo successo in questo campo si può ottenere se si può abbinare a una buona relazione anche una capacità militare che deve fungere da deterrente. Solo così si può fare quello che poi Putin non ha fatto con l’Ucraina e dire: «Io sono forte, tu mi devi dare ascolto».

La guerra in Ucraina, se non altro, sembra aver risvegliato l’Ue dal torpore... In questi giorni c’è stata una adesione a decisioni della Commissione e del Parlamento inaspettatamente coesa, sia per le sanzioni, sia per quanto riguarda l’aumento di spese militari verso la Nato. Adesso credo ci possa essere finalmente una spinta per un miglioramento delle capacità politiche e con le capacità politiche conseguire anche una maggiore capacità di difesa.

Pensa all’esercito europeo? Sì, ma l’esercito europeo diventa uno strumento nel momento in cui l’Unione ha anche una politica estera e internazionale di rilievo, che al momento però non c’è, perché nessuna nazione vuole rinunciare a un minimo di sovranità nazionale e con la regola dell’uno vale uno, con Malta che conta come la Germania, non si può arrivare a una decisione unitaria.

Mettiamo che questi ostacoli vengano superati. Come sono le nostre capacità di difesa oggi? All’Europa manca qualcosa nel trasporto strategico, nel campo degli aerei non pilotati. Tutte carenze che però si possono sanare rapidamente e c’è la possibilità di arrivare a un esercito europeo in grado di svolgere una azione militare efficace.

Come se lo immagina? Non dobbiamo pensare che tutto ciò che di militare esiste in Europa diventi esercito europeo. È sufficiente disporre di alcuni comandi operativi di alto livello alle dipendenze dei quali venga posta una forza di pronto intervento di almeno 60-80mila uomini, affinché possa essere efficace e avere quell’effetto di deterrenza necessario ad accompagnare l’azione diplomatica e conseguire la composizione di conflitti che esistono e vanno in qualche modo corretti. L’Europa deve tornare protagonista per quanto riguarda la sua presenza nel Mediterraneo e in Africa. È il momento di farlo, perché abbiamo anche bisogno di una alternativa ai rifornimenti per quello che non ci arriverà più dalla Russia. L’Europa deve andare in Libia, Siria, Etiopia, Sahel, scendere fino al corno d’Africa. Ed è una azione che si può svolgere sul piano diplomatico, senza fare la guerra. Inoltre, dovremmo rifare la pace con gli inglesi. Sono degli ottimi soldati, degli ottimi pianificatori. Se si fa un esercito europeo bisognerà trovare il modo di avere anche i britannici. Poi la guerra finirà e credo che nel giro di qualche anno dovremo trovare il modo di fare la pace anche con la Russia, sperando che le circostanze portino Putin a lasciare il potere.

Visti i nuovi scenari, reintrodurrebbe la leva obbligatoria? E’ molto difficile. Ogni anno, ci sarebbero 250mila uomini e 200mila donne che dovrebbero venire a fare il servizio, ma noi abbiamo lasciato caserme, abbiamo rinunciato a un esercito di leva da ormai 25 anni e rimettere insieme un sistema di questo tipo attraverso l’obbligatorietà sarebbe molto difficile. Noi potremmo permetterci di avviare un sistema di leva obbligatorio solo per una aliquota di quei 450mila giovani che ogni anno dovrebbero essere considerati. Potremmo farlo per 100mila, ma se non lo facessero volontariamente si creerebbe una disparità di trattamento, rispetto agli altri 350mila che continuerebbero a studiare e a trovare posti di lavoro.

Quindi niente leva? Una possibilità ci sarebbe. Quella, costosa, della Svizzera: i giovani ritenuti abili vengono suddivisi in piccole aliquote che vengono, stanno due mesi, imparano i rudimenti della vita militare e di difesa territoriale. Poi tornano a casa e magari, negli anni successivi, fino a una certa età, dedicano qualche week end alla formazione.

Lo ritiene auspicabile alla luce dei fatti ucraini? Alla luce di questi fatti prima di tutto bisogna riportare il livello dei nostri reparti al massimo dell’efficienza operativa. Poi, l'addestramento dei giovani, qualora si tentasse una strada come quella che dicevo prima, non dovrebbe essere dedicato a un addestramento solo militare, ma bisognerebbe cogliere l’occasione perché contenga anche principi di utilità per la protezione civile, per l’educazione civica, per migliorare l’amalgama tra cittadini di origine italiana e extracomunitaria, tra ricchi e poveri, tra nord e sud del nostro Paese.

Lei al nostro Paese ha dedicato la vita. Quale è stato il momento più difficile? Quello che è successo a Nassiriya è una cosa che non si dimentica. Ero a Baghdad, ma il giorno dopo ero lì. Ho vissuto quella immane tragedia da vicino, con molti rimpianti perché sono convinto che si potesse fare di più per evitarla. Io ho subito diversi attacchi armati in Iraq, ma non ho mai avuto timore di non riuscire ad uscirne. Quello che è successo a Nassiriya è stato terribile.
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