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IL BORGHESE

La piazza del villaggio

Leggi l'editoriale di Andrea Monticone

Vi ricordate quando durante la pandemia fare la spesa era qualcosa da organizzare con meticolosità degna di una operazione militare? Ingressi limitati nei supermercati, praticamente chiuse le grandi gallerie commerciali...

Per comprare il necessario in fretta - ammettiamolo, per liberatorio che fosse uscire un poco, non a molti veniva in mente di trattenersi oltre il necessario - abbiamo in tanti riscoperto il negozio di prossimità, come si suol dire, vale a dire quello di quartiere. Oppure, il mercato. Sì, per quanto anche qui ci fossero le file con distanziamento e il “numero chiuso”, la sensazione era di una normalità distante come un miraggio da quella che era la quotidianità.


I mercati ci hanno tenuti vivi, assieme ai piccoli negozi, questa è la verità. E adesso, che fingiamo di aver lasciato tutto alle spalle - avete notato che la letteratura, per esempio, è restia a parlare di lockdown, a differenza del cinema? Troppo difficile per gli scrittori, forse - quel deserto delle nostre strade di quel periodo lo vediamo nei mercati: via Di Nanni è un’isola pedonale semideserta, con poche bancarelle superstiti; piazza Santa Giulia, piazza Crispi...

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Resistono i grandi, come Porta Palazzo, è ovvio. Ci dicono che è colpa di Amazon, o dei supermercati onnipresenti nei quartieri, del carovita tra bollette e materie prime, di una logica dei prezzi che il piccolo ambulante non riesce a sostenere. Ma il mercato, in un quartiere, è qualcosa di più del luogo dove fare la spesa: è quanto resta della “piazza del villaggio”, è convenienza e socialità.

Nei mille piani di una città che studia il “brand” per essere più appetibile all’estero, qualcuno trova un ritaglio di tempo anche per ciò che ci sta più vicino?

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