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03 Marzo 2025 - 21:00
Lavorare e restare poveri. Il precariato non è solo una condizione lavorativa: è una condanna economica. I dati Eurostat confermano che il 14,7% dei lavoratori europei percepisce stipendi bassi, ovvero inferiori ai due terzi del salario mediano. In Italia, la percentuale è più bassa (8,8%), ma c’è un problema: chi ha un contratto a tempo determinato è molto più esposto al rischio di povertà.
Alcune categorie sono più penalizzate di altre, e i numeri lo dimostrano:
1. Donne: il 17,1% ha stipendi bassi, contro il 12,6% degli uomini.
2. Giovani: il 25,2% degli under 30 rientra nella fascia di basso salario, mentre la percentuale cala al 12,1% tra i 30 e i 49 anni e risale al 13,4% per gli over 50.
3. Titolo di studio: chi ha solo la licenza media o inferiore ha il 27,5% di probabilità di guadagnare poco, mentre la percentuale scende al 17,5% per i diplomati e al 4,8% per chi ha una laurea o un dottorato.
4. Tipo di contratto: il vero spartiacque. Il 27,2% dei lavoratori con un contratto a tempo determinato ha uno stipendio basso, mentre tra quelli a tempo indeterminato la percentuale si ferma al 12,6%.
A prima vista, l’Italia sembra messa meglio rispetto alla media europea, con un tasso dell’8,8% di lavoratori a basso reddito. Molto meglio di Paesi come Bulgaria (26,8%) e Romania (23,9%). Ma il dato è ingannevole. Il nostro Paese, infatti, ha una forte presenza di lavoro autonomo e partite IVA "mascherate", che spesso celano forme di precarietà non rilevate dalle statistiche ufficiali.
In Italia ci sono 18,1 milioni di lavoratori dipendenti, di cui 3,2 milioni con un contratto a termine. Il precariato è particolarmente diffuso tra i giovani, nei settori a bassa qualificazione e nel Sud Italia. Ma cosa significa concretamente avere un contratto a tempo determinato? Significa guadagnare meno, avere meno tutele e vivere con l’incertezza del rinnovo.
"Permessi retribuiti, ferie pagate, assegni familiari... magari ce l'avevo io signora!" (Checco Zalone/Quo Vado)
Il mercato del lavoro europeo è spaccato a metà: da una parte chi ha un posto fisso, dall’altra chi vive nell’incertezza. Per ridurre il divario servirebbero misure concrete: aumentare i salari minimi, limitare l’abuso dei contratti a termine e garantire più tutele per chi si trova nella trappola della precarietà. Un mercato del lavoro più equo non è solo un obiettivo politico, ma una necessità sociale.
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