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Il capro espiatorio

Incendio2
Ieri mattina il fumo continuava a salire lento. Sul retro del palazzo andato a fuoco, in via Lagrange, i vigili del fuoco proseguivano il loro lavoro. «Non è finito tutto, anzi - ha spiegato il comandante -, dopo le fiamme ora il rischio è quello dei crolli». Quel che resta delle mansarde potrebbe sbriciolarsi sul quarto piano e, come in un domino, al terzo e forse anche al secondo. L’acqua utilizzata per spegnere il rogo è filtrata nelle mura maestre dei quattro edifici, fin giù, nelle fondamenta, rendendo friabili cemento e mattoni. Polizia e carabinieri tengono lontani passanti e gli stessi residenti, tornati in piazza Carlo Felice per raccogliere quelle poche cose (davvero poche) sfuggite alle fiamme.

Nel mentre la polizia giudiziaria dei vigili del fuoco, prima di redigere la relazione introduttiva che lunedì sarà sul tavolo del procuratore aggiunto Vincenzo Pacileo e del pm Alessandro Aghemo che sulla vicenda ha aperto un fascicolo penale, interroga e redige verbali a cielo aperto, usando un tavolino da campeggio posto sotto un gazebo bianco in corso Vittorio Emanuele. Parla il geometra direttore dei lavori della Fiammengo, parla l’amministratore dei condomini, dicono la loro gli operai e chi, nel momento dell’incendio, si trovava in casa. I vigili del fuoco annotano ogni considerazione con precisione certosina.

Si torna a parlare del fabbro, che ieri è stato indagato per incendio colposo, e crocifisso perché la sua saldatura sarebbe stata all’origine del disastro, così almeno riferiscono i tecnici della ditta impegnata nella ristrutturazione e, de relato, anche l’amministratore. «Mah, mi sembra molto, ma molto prematuro individuare in questa persona il responsabile di tutto quello che è accaduto. Eviterei di cercare su due piedi un capro espiatorio». Lo dice Raffaele Guariniello, l’ex procuratore che di questi disastri se ne intende e che da mezzo secolo ha dichiarato guerra all’insicurezza, «sul lavoro, ma anche in luoghi come le abitazioni civili».

L’esperienza e l’intuito investigativo di Guariniello, vanno ben oltre il fabbro addetto alla saldatura di una cassaforte: «Per capire ciò che è accaduto - aggiunge l’ex pm, oggi impegnato nella stesura della 23esima edizione del Testo Unico sulla Sicurezza - saranno necessarie numerose verifiche e perizie molto attente e dettagliate. Ci vorrà tempo, molto tempo». Guariniello, per formulare la sua tesi, parte da un’ipotesi evidente: «In materia di anti incendio - spiega - non ci sono vuoti legislativi, ma una serie di norme specifiche ben precise. Insomma, non si brancola nel buio, ma le norme bisogna applicarle. Il mio collega Pacileo accerterà se ciò è accaduto o meno».

Insomma, anche il fabbro potrebbe aver sbagliato, sembra di capire dalle parole di Guariniello, ma il disastro sarebbe certamente stato evitato «se tutte le regole fossero state rispettate a dovere. In questi casi è necessario anticipare l’evento, prevenire. Il miglior modo per farlo è il controllo, continuo e affidato a persone competenti». Dunque, il fabbro può anche aver sbagliato, ma nel palazzo dove erano in corso lavori di ristrutturazione, avrebbero dovute essere predisposte pareti frangi fuoco per evitare, in caso di incendio, che le fiamme si propagassero in tutto il quadrilatero. Le bombole di gas avrebbero dovuto essere rimosse e la situazione monitorata minuto per minuto, tanto da non permettere gli ingressi, se non agli addetti ai lavori.

E poi, infine, c’è la questione materiali: «Plastica o non plastica - dice Guariniello - sarà la perizia a stabilire se determinati materiali erano adatti o meno, così come è accaduto per il grattacielo andato a fuoco a Milano. Bisognerà accertare chi li ha scelti, come sono stati utilizzati ed altro ancora. Ripeto, ci vorrà molto tempo. Pensiamo alla tragedia del Mottarone, dopo tre mesi ancora non si sono accertate precise responsabilità, le perizie sono in corso e non si può agire con superficialità». Essa, infatti, non paga, ed è la vera causa delle sciagure.

marco.bardesono@cronacaqui.it

 
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