Quella che esce dalle urne è l’immagine di una Torino spossata, stufa di promesse mai mantenute, ripiegata su se stessa dopo due anni di pandemia, di lutti e di isolamento. Con le fabbriche in cassa integrazione, troppe serrande abbassate e le periferie abbandonate. C’è tutto questo, e tanto altro ancora, dietro questo schiaffo che la città ha dato alla politica. Perché il primo sintomo, quello di un astensionismo così pesante, è stato dettato dalla sfiducia. E non solo verso i grillini, precipitati al 9 per cento, ma più in generale verso le istituzioni. Ha votato meno della metà dei torinesi, trascinati dall’assenza dei quartieri popolari. Non era mai successo. Così ci troviamo di fronte ad un sindaco dimezzato, qualunque sia il verdetto che uscirà dal ballottaggio. Paolo Damilano, che con la sua “Torino Bellissima» sognava la vittoria al primo turno, si trova ad inseguire Stefano Lo Russo che ieri sera garantiva che non ci sarà un accordo con i grillini, ma di fatto confida di poter contare sui loro voti. Secondo i bookmaker adesso è lui il favorito in un clima nazionale - che pure conta - dove il Pd è tornato a parlare da vincitore. Sommessamente si potrebbe dire che quel sistema Torino che incoronò due volte Sergio Chiamparino è risorto dalle proprie ceneri dopo la sconfitta del 2016. Ma a Torino non basta vincere. C’è da trovare, e in fretta, un vaccino che possa curare il morbo della politica locale. Un antidoto a questa remissività che ha azzerato la fiducia nella scelta che si fa nell’urna. Servono serietà e risposte concrete ai bisogni della gente, non giocattoli come il monopattino, o qualche fioriera di fronte alle scuole che cadono a pezzi, per darci un’immagine green che non esiste. La soluzione potrebbe essere quella di un sindaco tra la gente, che scopra e risolva i piccoli guai quotidiani? Forse. E comunque sempre meglio che vederlo in poltrona. Noi promettiamo di vigilare su questa nostra amatissima città, raccontando le cose come sono, senza fare sconti. beppe.fossati@cronacaqui.it
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