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Tutto a posto, niente in ordine

hands of man with phone scans covid certificate. green pass. electronic

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Dopo aver rilanciato tra mille polemiche la campagna vaccinale con un boom di adesioni, il green pass all’italiana ora è atteso alla prova dei fatti. Al D-day mancano cinque giorni. Poi, dal prossimo venerdì, il certificato sarà obbligatorio per tutti i dipendenti pubblici e delle aziende private, per le partite Iva e per i politici, per magistrati, colf e badanti. Senza, visto che per le altre categorie l’obbligo era già in vigore, non si potrà lavorare. Con un prevedibile impatto sulla vita di chi per andare in ufficio dovrà farsi “tamponare”, ma anche sulle imprese che dovranno far rispettare le regole e ora temono di sprofondare nel caos, visto che rimane tutta una serie di questioni irrisolte. Dal rebus sui controlli dei lavoratori esterni (spetta al titolare dell’azienda in cui operano o a chi li ha assunti?), alla necessità (o meno) di verificare il certificato ogni volta se il dipendente entra ed esce dalla sede. Il decreto del governo, poi, consente controlli a campione. Ma secondo Confartigianato la norma non sarebbe sufficientemente chiara nell’escludere responsabilità del datore nel momento in cui si venisse a creare un focolaio in azienda generato da un dipendente non controllato. Come al solito, insomma, tutto a posto ma niente in ordine. Con il governatore del Veneto Luca Zaia che per primo ha lanciato l’ allarme, chiedendo al governo di prendere in mano la situazione, magari portando da 48 a 72 ore la durata dei tamponi a prezzo calmierato. «Altrimenti - ha spiegato, seguito dalle altre Regioni che ieri hanno sollevato la questione in maniera unitaria - sarà il caos». Anche perché gli italiani in età lavorativa non vaccinati in Italia sono cinque milioni e mezzo. E 500mila di coloro che non hanno fatto neppure la prima dose vivono in Piemonte. Cosa accadrà si vedrà. Anche perché non è detto che tutti i non vaccinati accettino di farsi ogni 48 ore un test in farmacia a spese proprie. Certo, rinuncerebbero allo stipendio. Ma il datore di lavoro dovrebbe rinunciare a loro. Il problema è particolarmente sentito nelle piccole imprese: quando si assentano due dipendenti su 10 significa che viene a mancare il 20% della forza lavoro. Ed è vero che nelle imprese sotto i 15 dipendenti il decreto consente di sostituire il lavoratore assente per 20 giorni (10 più 10). Ma in molti settori anche volendo sarebbe difficile trovare la sostituzione. Non solo: non è chiaro se i contratti di sostituzione dovrebbero sottostare alle norme generali per i contratti a termine, che prevedono per esempio un aggravio sui contributi da versare. E poi che capita se l’assente si vaccina e viene (come deve essere) reintegrato immediatamente. Si lascia a casa l’altro, o ci si ritrova con un incarico e due persone? Un caso a parte è quello legato all’autotrasporto. Gli autisti sono spesso stranieri e arrivano da Paesi dove il green pass non è obbligatorio. Oppure potrebbero essere vaccinati con sieri non riconosciuti, come lo Sputnik. Morale: potrebbero arrivare nelle aziende autotrasportatori non dotati di green pass regolare, ma è difficile pensare di fare tornare indietro merci e materie prime. La “tempesta perfetta” per un settore fondamentale per tutti che fa già oggi i conti con la mancanza di 30mila camionisti? Qualcuno teme di sì. E intanto i No Pass si organizzano. Per venerdì prossimo c’è chi parla di “sciopero generale”. stefano.tamagnone@cronacaqui.it
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