La saggezza contadina insegnava a tenere una piccola contabilità sui prezzi. I miei nonni, per esempio segnavano sul calendario appeso in cucina il costo della farina, del mais, della carne di maiale, dell’olio per le lampade, della lana e del cotone. Anno dopo anno, riportavano i numeri e poi, davanti alla grande stufa a legna, si perdevano in eterne discussioni. Bastava guardarli mentre scuotevano la testa per far capire, anche ad un bambino, che andava male. Se non peggio. Noi, fino a ieri, invece ci siamo affidati alla statistica, o meglio agli esperti in grisaglia sartoriale che, in pratica, hanno preteso di insegnarci a vivere. Fino a ieri, perché oggi - ce lo dicono i sondaggi - l’inflazione segnalata dall’Istat (3,7 % a fine novembre) è superata dalla “percezione” degli italiani. E sale al 5,3%. Come dire che, come ai tempi beati, la gente ha imparato a farsi furba, controlla i prezzi, li confronta, studia le complicatissime bollette della luce e del gas, si indigna per il carico delle accise e per le piccole ruberie sulla contabilità dei servizi. E, tornando all’antico, l’italiano medio siede in cucina e scuote la testa. Già perché la mazzata sui prezzi tocca tutto: dalle spese per la casa, al pieno di benzina o gasolio, al riscaldamento. Per arrivare alla frutta, alla verdura, al prezzo del bollito o di due cosce di pollo. Senza parlare delle materie prime che a noi interessano quando cambiamo i serramenti, facciamo dipingere il salotto, compriamo una libreria. O pensiamo di cambiare la tivu e poi ci accontentiamo di un decoder da 50 euro. Spese natalizie a parte, rendiamoci conto che tra i capricci di Putin sul gas, la tirannia della Cina sull’acciaio e le bizze (vere o presunte) del maltempo che hanno fatto lievitare il prezzo del grano, del mais, delle carni e via discorrendo, siamo vasi di coccio tra vasi di ferro. Cornuti e mazziati. O meglio ancora impoveriti dagli speculatori. Che oggi come ai tempi dei miei nonni, l’hanno sempre fatta da padroni. beppe.fossati@cronacaqui.it
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