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Questione di dignità

Sergio Mattarella (foto Depositphotos)

Sergio Mattarella (foto Depositphotos)

Sarà che tra vignette e cartoon di Makkox, meme assortiti su Twitter e via dicendo mi sarei immaginato un presidente Mattarella a dir poco fumantino nel suo discorso di insediamento (bis) al Quirinale. In maniera non troppo dissimile da Giorgio Napolitano, che di fronte all’incapacità del Parlamento di arrivare a un nome condiviso aveva finito per sorseggiare l’amaro calice, salvo poi sculacciare tutti quanti nel suo discorso, con quelle anime candide ad applaudire urlando «sì dai, ancora, per favore». Sì, insomma, me lo immaginavo irato ai patri numi e non solo a quelli, in procinto di sciogliere le Camere magari coi Caschi Blu («e vai col kipli, ok questa è per boomer»). Ma sì, un po’ di ironia concedetemela: tutto sommato fare il Presidente della Repubblica non sarà brutto come lavorare in miniera o consegnare piatti caldi in giro per la città, o piangere un figlio morto durante uno stage scuola-lavoro. No, Mattarella è stato molto più pacato (temete l’ira dei miti) e non ha né sferzato né rampognato troppo. Ha preferito usare l’arte della parola, di una in particolare: dignità. Sì, l’ha ripetuta più volte, come a certificare che questo Paese la dignità l’ha persa e l’ha negata anche ai suoi cittadini. L’ha negata e la nega quando uno studente di 18 anni muore in uno stage, quando altri adolescenti manifestano in piazza e finiscono la mattinata al pronto soccorso (a proposito: a quando identificativi e body cam per i poliziotti, a garanzia di tutti, forze dell’ordine comprese?), quando la giustizia si arena e arriva tardi o per niente, quando una donna deve scegliere tra carriera e lavoro, quando i pensionati devono tirare a campare. L’avranno capito quelli in aula o erano troppo impegnati a scannarsi su Checco Zalone a Sanremo?

andrea.monticone@cronacaqui.it
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