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Ora i nostri ragazzi presentano il conto

Students manifestation held in Milan on October, 10 2014

Protesta degli studenti (foto: Depositphotos)

Se tornassimo indietro con la memoria ricorderemmo che i primi moti di contestazione degli studenti esplosero nell’autunno del 1967. L’opinione pubblica ne fu sorpresa, e pure indignata, visto che non sapeva spiegarsene il perché. In realtà era l’onda lunga della scolarizzazione di massa iniziata almeno dieci anni prima, il bisogno dei giovani a vivere insieme, anche fuori dal contesto famigliare, la nascita di numerose associazioni all’interno non solo delle università, ma anche delle scuole superiori, perfino la nascita di giornalini di istituto in cui si parlava di apartheid in Sud Africa, di guerra del Vietnam, e di educazione sessuale. Tema che portò tre studenti e la preside del liceo Parini di Milano di fronte ai magistrati per un’inchiesta su “Cosa pensano le ragazze di oggi?”, pubblicato su La Zanzara, allora celebre foglio edito in istituto. Uno spaccato del sessantotto con la sua cultura anticonformista, il rifiuto del perbenismo, la critica alle famiglie, la libertà sessuale. La scuola ne fu permeata e il resto lo si intuisce attraverso le manifestazioni, i cortei, le occupazioni di scuole e università, le autogestioni e i collettivi studenteschi. Cinquant’anni dopo, nel mondo della scuola che come la sanità ha subito tagli agli investimenti, piccole (e inutili) rivoluzioni ed è andato avanti tra precari e concorsi mal gestiti da una politica sempre più distante dai problemi dei giovani, torna spirare il vento della protesta. Meno beat, anzi assai concreta, comprensibile a tutti, specie alle famiglie e agli insegnanti non omologati nel fancazzismo, con i ragazzi che sono arrabbiati davvero. E non solo per le manganellate in piazza alla prima uscita. Oggi loro occupano per contestare la gestione dell’i st ru zi on e pubblica degli ultimi anni e per proporre una scuola a misura di studenti. Una scuola aperta, accessibile e inclusiva. Lo scrivono accusando il Governo di disinteressarsi dell’istruzione e della loro condizione che la pandemia ha aggravato non poco. Parlano di 543mila giovani spinti a lasciare gli studi, di abbandono inaccettabile. Possiamo dar loro torto, ora che ci sarebbero pure i quattrini del benedetto Pnrr per evitare almeno che i controsoffitti cadano loro in testa? Questi ragazzi sanno i fatti loro, non ascoltarli sarebbe un assurdo, visto che rappresentano il futuro. Lo hanno capito pure molti presidi che se non apprezzano il metodo, almeno comprendono il problema.

beppe.fossati@cronacaqui.it
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