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Sotto attacco e sotto ricatto

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Vladimir Putin (foto: Depositphotos)

Forse non sarà una guerra lampo, perché non vi è stato alcun effetto sorpresa. Le forze militari russe avevano circondato l’Ucraina da settimane, schierando più di 200mila uomini e migliaia di mezzi blindati lungo i confini bielorussi, moldavi e della Russia, a ridosso della regione del Dombass. Alle 4 della scorsa notte Vladimir Putin ha pronunciato in diretta Tv, la dichiarazione di guerra. Ventun minuti dopo, le truppe hanno varcato i confini; ci sono state le prime esplosioni, i bombardamenti di artiglieria pesante. Sono stati lanciati missili e truppe anfibie sono sbarcate a Odessa (anche sotto attacco missilistico) e a Mariupol, nel Sud dell’Ucraina, città che affacciano sul Mar di Azov. Si combatte anche a Chernobyl, dove i russi hanno preso possesso della vecchia centrale nucleare. E’ stato un attacco su «vasta scala», come previsto dall’intelligence Nato. Benché Putin abbia affermato: «Non invaderemo l’Ucraina, ma la vogliamo denazificare», i russi sono nei sobborghi di Kiev, dove hanno occupato due aeroporti e anche a Leopoli, la città ucraina più a occidente. Intanto si contano i morti, ma come all’inizio di ogni conflitto, è un balletto di cifre: «Abbiamo ucciso 50 soldati russi», dicono gli ucraini, mentre gli avversari rispondono con numeri rovesciati. Ma gli osservatori ritengono che le vittime, solo nelle prime 12 ore di guerra, siano già centinaia. In verità, ci vorranno mesi per avere un’idea approssimativa sui massacri. Al di qua della vecchia “cortina”, che vede l’Ucraina (il Paese territorialmente più esteso) circondata da Stati satelliti di Mosca e determinata ad aderire al blocco Occidentale, la risposta della Ue non si è fatta attendere: «Ci saranno sanzioni durissime contro Mosca», ha tuonato ieri mattina Ursula Von der Leyen. Per intanto, però, l’Europa riceve dalla Russia il 30% del gas di cui ha necessità (in Italia le forniture superano il 40%) e importa in gran quantità prodotti chimici di base, metalli, preziosi, combustibili nucleari, petrolio greggio, prodotti siderurgici, antracite, legno, sughero, paglia e materiali da intreccio, semi oleosi, cereali e più del 40% del fabbisogno di grano. Tutti prodotti i cui prezzi, nelle ultime ore, sono schizzati alle stelle e che sono la vera arma di ricatto di Putin nei confronti dell’Europa, se non si mostrerà neutrale. Dal canto suo la Russia, con la politica che si fonda sul principio della “sovranità limitata” dei Paesi più o meno vicini, si garantisce e potrebbe assicurarsi in maniera sempre maggiore, un mercato più che sufficiente per mantenere florida la propria economia. Per l’Occidente, sottolineano gli osservatori, le opzioni sono sostanzialmente tre: la neutralità, che di fatto limiterebbe la sovranità dei Paesi europei a favore della Russia; il negoziato diplomatico, che si prevede lungo e irto di difficoltà. Infine, c’è la risposta che evoca la politica di Winston Churchill nella Seconda Guerra Mondiale, dopo l’invasione della Cecoslovacchia da parte della Germania per ottenere l’annessione dei territori occupati dai Sudeti: «Vi prometto lacrime e sangue». Ovvero: «Il gas e il grano ce lo andremo a prendere», giacché le forniture giungono nella quasi totalità proprio dall’Ucraina. Ma la terza ipotesi significherebbe un conflitto militare (la guerra c’è già e non si combatte solo sui campi di battaglia) che la Nato ha già dichiarato che non percorrerà in nessun caso e che gli unici aiuti che in tali frangenti si possono prestare all’Ucraina, sono le sanzioni. Resta la via diplomatica, l’unica percorribile, ma che deve essere reinventata quasi completamente. Il duro monito del ministro degli esteri russo Sergej Lavrov all’Occidente, dopo le altrettanto dure dichiarazioni del ministro Luigi Di Maio, hanno messo in evidenza lacune profonde nella diplomazia europea che non sa tacere quando deve e, in alcuni casi, parla a sproposito. Non è un segreto che Lavrov (considerato una “colomba”) abbia tentato fino all’ultimo di prendere tempo (anche solo qualche giorno) per trovare una soluzione accettabile ed evitare la guerra. Iniziativa fatta naufragare dalle parole, sia pur legittime e sensate, del ministro degli Esteri Italiano. Intanto in 47 città russe ci sono state manifestazioni contro la guerra e scontri con la polizia che ha arrestato più di mille persone. Infine, c’è l’incognita, Joe Biden, il presidente degli Stati Uniti. Ma mai come in questi tempi, «l’America (per parafrasare una canzone di Lucio Dalla), è lontana: dall’altra parte della luna e a guardarla, mette quasi paura».

marco.bardesono@cronacaqui.it
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