La guerra delle bombe e dei missili e quella del gas. Ossia la guerra economica con cui Putin avrebbe voluto mettere in ginocchio l’Italia, la Germania e in sequenza tutti gli altri Paesi che dipendono dalle forniture della federazione russa. Ebbene, mentre la guerra delle bombe langue, nonostante continuino i bombardamenti, gli ultimi in ordine di importanza quello avvenuto contro la sede della Croce Rossa e i locali della Missione consultiva dell’Ue in Ucraina (Euam) a Mariupol, lo zar ha dovuto cedere sul ricatto forse più odioso: il pagamento del gas in rubli. Contro il quale in particolare l’Italia, con la ferma posizione del premier Draghi a cui si sono accodati gli altri paesi, ha ottenuto che nel rispetto degli accordi internazionali le monete restassero quelle usuali, l’euro e il dollaro. Insomma, di fronte alla provocazione dello zar, la schiena dritta della diplomazia ha pagato: di fronte al rischio di non poter più vendere il gas e privarsi dunque di circa un miliardo di euro al giorno di entrate, Putin ha innestato la marcia indietro. Anche a costo di contraddirsi rispetto alle minacce di una settimana fa. E se c’è una lezione in questa vicenda è che opporre resistenza alle forzature del Cremlino - contrariamente a quanto si pensi - non peggiora la situazione. Al contrario, funziona. Anche nella guerra economica che corre in parallelo a quella sul territorio ucraino. Ma non solo: il riposizionamento strategico nella guerra del gas che Putin ha aperto da mesi contro l’Unione Europea manipolando le forniture e facendo schizzare i prezzi a livelli inverosimili, denota una debolezza che va ben oltre i mancati guadagni. Anche se miliardari. Lo zar si sente isolato. Dopo lo smacco di quella che lui considerava la guerra lampo per la conquista dell’Ucraina, le truppe impantanate e logorate dalla resistenza di Zelensky, migliaia di morti tra cui moltissimi giovani di leva, non si fida più né dei ministri, né tantomeno dei generali sul campo. Voci americane dicono addirittura che «non sia al corrente di quanto sta capitando sul campo». E la retromarcia sul gas, se letta nell’ottica complessiva del doppio conflitto potrebbe far rileggere la storia di questa aggressione, in termini assai diversi da quelli sbandierati pubblicamente e carichi di feroce arroganza. A conti fatti, prima del 24 febbraio, l’Unione Europea era barcollante, la Nato addirittura in procinto di naufragare. E ora lo scenario è ribaltato: la guerra di Putin ha rafforzato i rapporti tra gli Stati, dato vigore all‘Alleanza Atlantica mentre la Russia è stata ferita dalle sanzioni e anche dal dissenso interno. Gli oligarchi del cerchio magico ora tramano per la pace e spostano i maxi yacht dalla Costa Azzurra alla Turchia che, non a caso, è tra i mediatori più accreditati. Come lo stesso Draghi, voce autorevole della finanza europea, che ieri in una telefonata riservata ha parlato per oltre un’ora con il presidente russo. Tanti fattori che potrebbero indurci ad almeno una speranza: quella che la pace non sia poi così lontana. Intanto - è notizia delle ore 19 di ieri - le tariffe di luce e gas dal 1 aprile scenderanno del 10 per cento dopo 18 mesi di aumenti ininterrotti. Un segnale?
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