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Quando la guerra diventa barbarie

bucha torture
C’è un confine tra la guerra e la barbarie. E le immagini che arrivano da Bucha testimoniano che è stato superato. Facendoci precipitare in un orrore che avevamo dimenticato, anzi che pareva ormai relegato alle testimonianze dei pochi superstiti e dei libri di storia. A vedere le immagini delle fosse comuni da cui emergono i poveri resti umani di vittime giustiziate a sangue freddo, con le mani legate dietro la schiena e i segni delle violenze sul viso e sulle carni, torniamo indietro nel tempo. Specie quando tra i resti delle case bombardate e diventate il covo dei miliziani russi, emerge persino una stanza delle torture. Un luogo buio dove forse si consumava l’altro aspetto orrendo della guerra: percosse, interrogatori con le lame che facevano scivolare via il sangue a fiumi delle vittime costrette a confessare i nascondigli delle loro piccole fortune, perché quella gente lì è abituata a uccidere, ma anche a depredare. Tutto già visto con i nazisti e poi nei Balcani, a Sarajevo, in Siria. E altrove, purtroppo dove la conquista del potere con le armi passa attraverso la vita dei cittadini inermi. E delle donne, un’altra preda di guerra che i vincitori si disputano commettendo altri orrori, prima di far tacere per sempre creature innocenti. Kiev parla di genocidio e il presidente Zelensky accorso a Bucha racconta al mondo un’altra faccia di questa guerra che il Papa definisce a ragione sacrilega. Intanto, mentre Mosca nega e accusa gli ucraini di aver inscenato una farsa per bloccare i negoziati, l’Europa e il mondo chiedono una commissione di inchiesta, invocando l’incriminazione di Putin come criminale di guerra. Ma non basta: servono nuove sanzioni, e soprattutto serve tagliare le risorse economiche alla Russia cominciando dal blocco delle forniture di gas. Una decisione tuttavia non facile che divide anche la nostra politica con una parte della maggioranza di governo favorevole a bloccare l’import di idrocarburi come il Pd a cui ieri si è associato anche il ministro degli esteri Luigi di Maio. Forse proprio per questa posizione di apertura ad una discussione sul tema dei rapporti economici con la Russia, il leader Cinquestelle è finito nel mirino dei putiniani d’Italia che su varie chat su Telegram e su altri social l’hanno minacciato di morte, al grido «Putin manda qualcuno ad ammazzarlo». Un segno, se vogliamo, di una disputa politica che va oltre gli orrori della guerra e si trasforma nel triste e lucroso gioco dell’economia internazionale che certo non risparmia il nostro Paese. Ma l’Italia, c’è de chiederselo, sarebbe in grado di sostenere una misura così drastica, facendo a meno delle forniture di gas che ancora oggi, dipendono da Mosca? Una questione che peserà sulle decisioni non solo di casa nostra, ma anche di altre nazioni europee. In un valzer di fughe in avanti e retromarce a cui la politica, purtroppo, ci insegna da tempo immemore.

beppe.fossati@cronacaqui.it
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