Inutile negarlo, ieri 9 maggio, gli occhi di tutto il mondo erano puntati sulla Piazza Rossa di Mosca. O meglio sulla parata per la Festa della Vittoria in attesa del discorso di Vladimir Putin. Con un timore malcelato di tanti: sarà il giorno del giudizio? E quale minaccia lo zar rivolgerà all’Occidente? In realtà Putin ha giocato in difesa, escludendo di volere un conflitto globale, recitando i numeri delle vittime della seconda guerra mondiale. Di fatto ha spiegato al suo popolo che la Nato minacciava i confini del territorio russo ed ha definito l’invasione dell’Ucraina «un’operazione giusta» e un colpo necessario «perché era in atto un piano di attacco contro di noi». E più precisamente: «Erano in corso corso i preparativi per un’altra operazione punitiva nel Donbass, per un'invasione delle nostre terre storiche, compresa la Crimea. A Kiev hanno annunciato la possibile acquisizione di armi nucleari. Il blocco Nato ha avviato lo sviluppo militare attivo dei territori a noi adiacenti. Così, una minaccia per noi assolutamente inaccettabile è stata sistematicamente creata, direttamente ai nostri confini…» E ancora: «Il pericolo cresceva ogni giorno. La Russia ha rifiutato preventivamente l’aggressione. È stata una decisione forzata e tempestiva». Si aspettava il lupo, ma Putin mentre sulla piazza sfilavano 11mila uomini e il meglio del suo arsenale, ha giocato il ruolo inatteso se non dell’agnello, almeno del vicino di casa spaventato da possibili aggressioni. Quanto abbia convinto, lo diranno i commentatori più accreditati, resta il fatto che non c’è stata parola sul cessate fuoco e neppure l’apertura ad una trattativa di pace. Se non - ovviamente - alle sue condizioni che sono arcinote: il dominio sulla Crimea, il Donbass e quella lunga striscia di territorio che porta fino ad Odessa. Resta il fatto che, nell’ascoltare le parole del presidente francese Macron in un passaggio del suo discorso a Strasburgo per la cerimonia di chiusura della Conferenza sul Futuro dell’Europa, sembra di intuire una nuova strategia diplomatica che forse si discosta dalla posizione degli Stati Uniti. E quando il presidente francese ha detto che «la pace non si costruisce con l’umiliazione di Mosca», ma con la costruzione di un dialogo «con l’Ucraina e la Russia allo stesso tavolo», qualcuno ha immaginato che l’apertura potesse in qualche modo anticipare o rispondere all’atteggiamento dello zar. Il che ovviamente non disegna nuovi confini temporali a questo conflitto insensato che dura ormai da 75 giorni e che non molla di un centimetro rispetto alle strategie di attacco di Putin e alle reazioni di Zelensky che anzi chiede una sessione straordinaria del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite per i «crimini di guerra commessi dalla Russia» sul suo territorio. Iniziativa che sarebbe appoggiata da circa 60 Paesi di tutte le regioni del mondo. Prosegue la tecnica del chiodo dopo chiodo, delle minacce reciproche ma purtroppo anche delle bombe, le ultime su una scuola, i rastrellamenti dei civili e i missili, sparati da oltre confine più che dai mezzi corazzati. Così ieri, mentre il presidente del Consiglio d’Europa Charles Michel era in vista ad Odessa per verificare i silos che contengono il grano destinato alle esportazioni, ma bloccato nel porto ucraino, sono scattate le sirene. E lui, insieme a tutti presenti, ha dovuto riparare in un rifugio. Segno evidente che la guerra non fa sconti proprio a nessuno.
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