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C’era una volta la classe media

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C’era una volta la classe media. Marito e moglie con uno stipendio fisso, la casa con il mutuo, l’utilitaria in strada, tre settimane di vacanze al mare e una in montagna. Più qualche risparmio: il gruzzolo per affrontare le emergenze. Antenati. Quello che sappiamo di loro ce lo tramandano i fortunati che sono nati con i piedi al caldo e che oggi, pur avendo un lavoro, spesso faticano ad arrivare a fine mese. Niente risparmi in banca, tanti sogni da realizzare e una scarsissima fiducia nel futuro. In sintesi è quanto mi racconta un amico avvocato, ancora così giovane da non avere uno studio suo, ma abbastanza bravo e stimato dai suoi clienti. Solo vent’anni fa sarebbe stato un quarantenne d’assalto. Oggi vive in trincea come moltissimi di noi, temendo una raccomandata dell’agenzia delle entrate, l’auto che brucia la frizione, o peggio ancora la necessità di portare al bimbo dal dentista per un’otturazione. Se sfora il budget, l’avvocato è perduto. Non ce la fa, non arriva a fine mese e deve chinare il capo all’ineluttabile: suonare alla porta di papà. «Mi sento umiliato», diceva il mio amico ieri mattina al bar. E qualcuno penserà che è fortunato. Almeno c’è il padre. E ha ragione. Ma questa storia che in fondo non è così drammatica, sta in cima alla lista delle difficoltà quotidiane delle nostre famiglie. E forse oggi a dircelo sarà l’unica categoria di lavoratrici che non ci saremmo mai aspettati in piazza: le massaie. Che al posto di pale, vanghe, o chiavi inglesi, esibiranno pentole vuote per dire, al di là di ogni metafora, che così non si può più andare avanti. Che al di là della luce e del gas, manca il vero carburante per mandare avanti una famiglia, ossia il cibo in tavola. Ma anche per dire che la gente non è più disposta ad accettare che pochi malfattori speculino sulla vita di tutti. I pannicelli caldi dei 200 euro una tantum o i finiti tagli al costo della benzina non bastano più. Lo hanno capito anche Draghi e Macron l’altra sera. Quello che va tagliato è il costo del lavoro e del lavoro bisogna rivalutare il valore. Tutto il resto, sono chiacchiere di una politica sempre più lontana da noi. E lo capiremo forse domenica, quando si farà il conto di chi andrà a votare.

stefano.tamagnone@cronacaqui.it
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