A essere buoni, o almeno creduloni, nella designazione dei candidati a Camera e Senato, ha pagato la fedeltà. Meglio ancora: la fedeltà ai leader. E questa è forse l’unica costante che si ripete a destra come a sinistra. A giustificare i mal di pancia di chi è stato escluso o si è sentito estromesso d’altra parte c’era l’alibi del taglio dei parlamentari. In realtà, mai come oggi in questa strana, cortissima e feroce campagna elettorale ha vinto la logica dei segretari.
A cominciare da Enrico Letta per il quale l’autunno sarà a dir poco rovente. E non solo per aver catapultato in Piemonte la sua “delfina” Debora Serracchiani, anteponendola addirittura a Mauro Laus, ma per aver armeggiato politicamente scegliendo Giorgia Meloni come leader del centro destra al solo scopo di poter centrare la campagna elettorale sul tema della contrapposizione, iniziando dal riesumare il fronte antifascista.
Con il risultato che la polemica sulla fiamma tricolore del simbolo di Fdi ha finito per non essere una trovata vincente. E non sicuramente utile all’immagine internazionale del Paese. Come ripetere all’infinito che “il Pd deve essere il primo partito italiano”, mentre cercava alleanze ovunque, incappando anche in rifiuti clamorosi come quello di Calenda, ha finito per indebolirlo. Ognuno ha le sue rogne, si dirà. E in parte è vero.
Anche a destra la composizione delle liste è stata complessa. In Forza Italia i deputati più vicini ai ministri Brunetta e Gelmini, che hanno scelto Azione di Calenda, l’hanno pagata con scranni quasi impossibili da conquistare, vedi i casi di Claudia Porchietto e Carlo Giacometto. In Fratelli d’Italia invece è stata premiata la fedeltà a Meloni, ma anche il lavoro sul territorio. Vedi l’esempio di Augusta Montaruli e dell’assessore regionale Elena Chiorino.
E la Lega? Ha puntato a confermare la squadra uscente, a cominciare da Elena Maccanti, Alessandro Benvenuto e il segretario Riccardo Molinari. Di peso poi la candidatura del ministro del turismo Garavaglia. Più complessa la situazione del terzo Polo ove Calenda si è fatto pochi amici sia tra i suoi che tra le fila dei renziani. La corsa comincia così, e la logica dello sgambetto a giudicare dai preliminari non sembra esclusa. Staremo a vedere. Intanto il toto voto vede il centrodestra in pole position. Per meriti propri e anche per demeriti altrui.
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