Il pane del giorno prima, comprato a metà prezzo. Mele e pere un po’ ammaccate in bella vista in una cassetta di legno con un cartoncino scritto a mano: «Offerta». Una bella signora con i capelli bianchi e il cappotto un po’ sgualcito che chiede al macellaio di dividere una fettina di tacchino in due spiegando «tanto siamo solo mio marito ed io». E un’altra molto più giovane che chiede al venditore di togliere una manciata di fagiolini dalla bilancia. Sono istantanee della Torino con l’inflazione a due cifre ove ciascuno ha una sua strategia per fare fronte ai rincari. A cominciare da chi vende che ora deve stare doppiamente attento alle scorte e, soprattutto, al rischio di dovere gettare via frutta e verdura. Si compra giorno per giorno, per non sprecare. Le parole d’ordine sembrano essere diventate. ridurre, rinviare, rinunciare. L’abbiamo scoperto facendo il nostro mestiere, come si faceva una volta, con un buon paio di scarpe e un taccuino per annotare prezzi e sensazioni in tre mercati rionali. Gli stessi che in ogni campagna elettorale si trasformano nella piazza della politica, con i candidati convinti che qui, dove pulsa il cuore della città, si possano conquistare voti, distribuendo santini. Per poi ripiegare il banchetto e la sedia e dimenticare il tutto, promesse comprese. Ebbene, sarebbe utile e salutare tornare qui, tra piazza Madama Cristina, via Di Nanni e corso Racconigi per fare un bagno di realtà. Un film verità sul nostro stato di salute, sui soldi che si centellinano e sui consumi che si sono ridotti del 50 per cento. E magari verrebbe un’idea su come arginare una voragine che rischia di travolgerci, con convenzioni con gli agricoltori, gli allevatori e chi oggi trasporta a caro prezzo e di malavoglia. Studiando un paniere di beni di prima necessità a prezzi calmierati. A noi sembra una idea praticabile, ma c’è un ma: la politica ha ancora voglia di confrontarsi con i problemi della gente?
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