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IL BORGHESE

La doppia trattativa

Leggi l'editoriale del direttore Beppe Fossati

La doppia trattativa

La doppia trattativa

C’è voglia di pace dopo tanti tormenti di guerra. E c’è il bisogno di scacciare la paura di una crisi mondiale con lo spettro di un conflitto atomico, mentre ormai si combatte con i droni kamikaze che ci stanno abituando a scenari da guerre stellari. E’ in questo clima che, ad un anno e mezzo dall’invasione russa in Ucraina, con il nostro Paese e l’Europa intera sfiancati dalle conseguenze economiche della guerra, per la prima volta si percepisce la possibilità che la diplomazia possa rimetterci in cammino verso una pace duratura.

Gli occhi del mondo, da oggi, sono puntati sull’Oltretevere di Roma, sul minuscolo Stato Pontificio dove Papa Francesco aspetta  la visita di Volodymyr Zelensky. Nulla trapela, conferme ufficiali non ce ne sono, ma ai piani alti della Santa Sede fanno notare che l’agenda di Bergoglio è vuota, come accade assai di rado.

Dunque lo spazio per un incontro è aperto e qualcuno vuole vedere in questo giorno dedicato alla Madonna di Fatima l’auspicio di un primo passo verso la fine del conflitto. Di fatto l’incontro tra il Pontefice e il presidente Ucraino rappresenta almeno il primo atto pubblico di quella missione riservata che Francesco ha svelato a fine aprile sottolineando che «la pace si fa sempre aprendo canali».

Parole che stupirono, quelle pronunciate dal Papa sull’aereo di ritorno dall’Ungheria, ma che già nei scorsi hanno trovato conferme dal cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato Vaticano, e successivamente dalla scoperta della strategia diplomatica di Francesco affidata a cinque alti prelati tra cui Paolo Pezzi, arcivescovo di Mosca, e Visvaldas Kulbokas, nunzio apostolico in Ucraina. Intanto Francesco stesso ha già incontrato il primo ministro di Kiev Denys Shmyhal, gli ambasciatori ucraino e russo presso la Santa Sede e sta cercando la strada per un confronto diretto con il Patriarca di Mosca Kirill e soprattutto con il presidente Vladimir Putin.


Che siano giorni importanti per raffreddare le armi, lo si intuisce da un insieme di segnali che emergono dalle agende dei diversi leader, e dei loro emissari. E in particolare quella che riguarda la visita dell’ambasciatore Li Hui, rappresentante speciale del governo cinese per gli affari euro asiatici, che è atteso in Ucraina, Polonia, Francia, Germania e Russia. Una missione - spi pensata «per comunicare con tutte le parti sulla soluzione politica della crisi».


Il che fa capire come si intreccino, in questo delicatissimo momento, i ruoli di due diverse diplomazie: quella della Santa Sede, neutrale per definizione e quella cinese che rappresenta quella parte di mondo politicamente legata agli interessi euroasiatici, mentre la Nato e gli Stati Uniti sembrano rimanere sullo sfondo in attesa di sviluppi.


Intanto da oggi l’Italia assume un ruolo di primo piano non solo per la visita di Zelensky in Vaticano, ma anche per gli incontri prima con il presidente Sergio Mattarella e poi con la premier Giorgia Meloni. Incontri che restituiscono al nostro Paese quel ruolo di mediatore affidabile che ha sempre ricoperto nelle crisi più complesse della storia recente come quando, nel 2002, Silvio Berlusconi organizzò il vertice di Pratica di Mare tra la Nato e la Russia che si concluse con la storica stretta di mano tra George Bush e Vladimir Putin. Ventun anni dopo il clima è completamente diverso ma a volte il destino si ripete.

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