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Emergenza violenza
05 Giugno 2023 - 06:30
Giulia Tramontano, con il suo piccolo che si sarebbe chiamato Thiago, poi Pierpaola Romano. Infine, il clamore della ex moglie di Omar Favaro. Scontato, scontatissimo quindi che dai piani alti - ossia dal governo - arrivasse il più classico degli annunci, vale a dire che si farà qualcosa per fermare l’emergenza della violenza sulle donne. E come si farà? Con un pacchetto di provvedimenti che, manco a dirlo, richiama in causa il braccialetto elettronico, che sta - negli annunci di legge - alla criminalità più o meno come il taglio delle accise sulla benzina sta alle campagna elettorali.
Già a febbraio era stato convocato l’Osservatorio per la violenza sulle donne per tracciare una strada che porterà «nei prossimi consigli di ministri» a una revisione delle norme messa a punto da ben tre ministri, quelli della Famiglia e delle Pari Opportunità Eugenia Roccella, dell’Interno Matteo Piantedosi e della Giustizia Carlo Nordio. In sintesi: più rigore per l’uso del braccialetto elettronico - al momento come alternativa alla detenzione, ma si potrebbe usare per verificare che, in caso di divieti di avvicinamento o di dimore, il “sex offender” la rispetti, controllandone la posizione -, un aumento della distanza minima tra vittima e carnefice, corsi di recupero per stalker e violenti, fino all’espulsione in caso di stranieri responsabili di reati di violenza di genere.
Ecco, proprio in una circostanza simile, la voce del ministro Salvini si era sentita per giorni e giorni - era il caso della povera Pamela Mastropietro -, qui non se ne coglie traccia e non solo da parte sua, ognuno poi faccia le sue valutazioni. Ma vediamo piuttosto la questione braccialetto elettronico: una innovazione introdotta qualche fanno al modico prezzo di una decina di milioni di euro per il gestore e ben ventitré nell’assegnazione successiva - nota bene: l’ultimo bando è andato deserto - ma che non ha mai trovato vera applicazione. Ai giudici, dicono i critici, non piace, forse per via di una procedura più complicata di una semplice concessione di arresti domiciliari. Secondo il rapporto dell’associazione Antigone, non sono mai più di un paio di migliaia i braccialetti operativi in tutta Italia: dal 2014 al 2021 sono stati 5.625 complessivamente e il picco si è avuto nel periodo Covid, per lo svuotamento delle carceri, poi c’è stata la discesa. A Torino, si legge nel rapporto, erano poco più di un centinaio, il doppio in tutto il Piemonte. In Inghilterra, usata come pietra di paragone, sono 70mila. A guardare i dati del ministero di Giustizia, se la concessione di arresti domiciliari senza dispositivo elettronico, a Torino, sfiora il 16% del totale delle misure cautelari, quella con il braccialetto non arriva al 2%.
Però rimane un cavallo di battaglia di ogni ministro di ogni governo, così come la garanzia di rendere più veloci i processi che riguardano questi reati, come già si è visto con l’introduzione del “codice rosso”, peccato che non si trovi personale per i tribunali o non si risolva l’intasamento degli uffici tra cause pretestuose e burocrazia. La terza parola magica è «prevenzione», con l’analisi dei cosiddetti reati-spia, ossia atti di violenza “comune” che potrebbero sfociare in violenza di genere; con campagne educative, magari a partire dalle scuole. Non importa che praticamente nulla di tutto questo avrebbe salvato Giulia o Pierpaola, l’urgenza - quando manco si fa un tweet di dolore o di condanna - è far vedere di far qualcosa, di muoversi, agitando parole e decreti alla stessa velocità delle ali di un colibrì, che proprio in questo modo riesce e restare fermo, sospeso in aria.
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