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IL BORGHESE
23 Settembre 2023 - 06:30
A Ivrea ogni magistrato gestisce 2mila fascicoli, contro la media nazionale di 500
Prima la tragedia di Brandizzo, che ha stroncato la vita di cinque operai innocenti che lavoravano sui binari. Poi l’orrenda fine della piccola Laura, uccisa a 5 anni dallo schianto di un jet delle Frecce Tricolori. Due episodi drammatici dai quali comincia il nostro viaggio nella Procura di Ivrea, una delle più disastrate d’Italia. Che sopravvive solo grazie al coraggio e alla devozione della procuratrice Gabriella Viglione, che sul campo di battaglia della giustizia guida una pattuglia di appena otto magistrati sui quali grava una montagna di fascicoli, penali e civili.
Ne hanno più di 2mila a testa, il quadruplo della media nazionale. Numeri da record, se ci fosse il Guinness negativo dei tribunali. Una vergogna che dura da tempo e che si riflette drammaticamente su cittadini, vittime o colpevoli che siano. Costretti ad aspettare una giustizia che non arriva mai, a causa di una riforma - quella del 2013, ai tempi del governo Monti - che ha fatto più danni che benefici. Come denunciano sia gli avvocati che i giudici, a cui si aggiungono sindacati, amministratori comunali, associazioni di cittadini e addirittura il procuratore capo di Torino, Francesco Saluzzo, che non ha esitato a porre l’accento sulle difficoltà di questo avamposto della magistratura, specie oggi che si trova ad affrontare due inchieste molto complesse.
Se i numeri aiutano a capire la gravità della situazione, eccoli qua: 18 impiegati contro i 100 che servirebbero e 9 magistrati contro i 30 che dovrebbero costituire l’ossatura dell’intera Procura. Ma c’è di peggio: quando si fece la riforma, vennero aboliti tribunali importanti, come quelli di Moncalieri e di Alba. E per tutta risposta si allargarono i territori delle procure rimaste, compresa quella di Ivrea, che praticamente spazia dalla collina di Torino alle Valle d’Aosta. Segno che, ancora una volta, i boiardi di Stato al servizio della politica hanno usato le forbici anziché valutare l’aumento della criminalità e la necessità di governare i territori per garantire giustizia ai cittadini.
La prova provata di questa vergogna sta in un processo che si è concluso ieri in primo grado, a oltre cinque anni da un’altra tragedia ferroviaria, quella che colpì Caluso il 23 maggio 2018 e costò la vita a due persone. A colpire, di quella che potrebbe essere un’ulteriore beffa, è che non si è trattato di un rito tradizionale ma di un abbreviato che, com’è noto, taglia di parecchio i canonici tempi della nostra giustizia.
Un quadro drammatico di una situazione che non sembra avere soluzioni in tempi brevi. E così sorgono due domande: quando vedremo giustizia per quei cinque sfortunati lavoratori a cui ancora non si è neanche data sepoltura, per la difficoltà di riconoscere i corpi? E quando avrà giustizia la piccola Laura? La procuratrice Viglione non nasconde le difficoltà ed è costretta ad ammettere che la Procura è allo stremo. Servirebbe subito, dice, un intervento del Governo o del Ministero per scegliere se potenziare l’organico della Procura oppure modificare il territorio di competenza. Ipotesi ovviamente senza risposte. Resta un ultimo interrogativo: al di là dei grandi processi, quanto tempo occorrerà per abbattere questa montagna di 2mila fascicoli che ancora nessuno ha avuto il tempo di sfogliare e da cui dipendono il futuro e gli interessi di tanti cittadini?
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