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IL BORGHESE

La nuova guerra
dell’Ayatollah

Leggi il commento del direttore Beppe Fossati

La nuova guerra dell’Ayatollah

La nuova guerra dell’Ayatollah

Con una mossa che non ha precedenti, nella notte tra sabato 13 e domenica 14 aprile si è acceso un altro focolaio di guerra in Medio Oriente Ancora più fosco e pericoloso di quello che oppone Israele ad Hamas. L’Iran ha lanciato contro lo stato ebraico un attacco diretto con centinaia di missili e droni rompendo una finta neutralità che durava da quasi 40 anni. E questo assalto in una regione ormai macchiata dal sangue di troppe vittime, potrebbe essere il primo episodio di una guerra che potrebbe allargarsi a macchia d’olio  coinvolgendo le grandi potenze. Con il rischio di trascinare nel conflitto le cosiddette “forze di pace impegnate  nel territorio, tra cui i nostri militari. Oltre 2.300 uomini, tutti professionisti, suddivisi tra i fronti più caldi della polveriera medio orientale. E se in queste ore gli osservatori internazionali tendono a considerare questa mossa dell’Iran ispirata dall’Imam Khomeini “come una risposta al crimini del regime sionista, tra cui l’attacco al consolato  di Damasco e all’uccisione di Mohamed Reza Zaehedi, figura di spicco delle Guardie della rivoluzione iraniane”, resta da capire se le azioni diplomatiche che stanno impegnando gli Stati Uniti e i paesi Europei più influenti tra cui Francia e Germania, saranno in grado diplomaticamente di spegnere l’incendio. Con la variabile, non trascurabile, di Netanyahu il quale ha già risposto innalzando il livello del conflitto e preparandosi ad attaccare i diversi fronti di guerra. E ci riferiamo non solo a Gaza, ma anche alle basi degli Hezbollah in Libano oltre che i valichi tra Iraq e Siria  ove passano i convogli di armi diretti al Libano. Ciò almeno era ciò che accadeva fino a ieri l’altro. Con una certezza: Hezbollah non ha ancora usato i pezzi pregiati del suo arsenale che conta circa 30 mila missili capaci di bucare la difesa israeliana. Quanto basta per disegnare uno scenario ove la guerra langue sotto qualcosa che, per ora, assomiglia a episodi di guerriglia tattica, portata avanti grazie alla sofisticata tecnologia militare. Ma sulla sfondo c’è ben altro. E riguarda i rapporti di forza sullo scacchiere mediorientale. Intanto perchè negli anni l’Iran ha ampliato la sua influenza politica e militare in Iraq, Siria, Libano e Yemen, utilizzando Hezbollah, Hamas, Houthi e altre milizie realizzando di fatto un assedio neppure troppo silente a Israele. Ma non solo: le forze manovrate da Teheran sempre in Iraq, Siria e Libano, configurano anche un accerchiamento ai danni dell’Arabia saudita. Ossia del bersaglio che, insieme ad Israele, rappresenta il fulcro del possibile espansionismo iraniano. La guerra di religione contro la monarchia saudita e la furia contro la potenza militare di Israele e dei suoi sponsor politici, a cominciare dagli Stati Uniti, potrebbero dunque pesare in questa “ risposta” al raid di Netanyahu. Con una certezza, almeno secondo gli osservatori internazionali; la guerra per procura affidata alle milizie fiancheggiatrici, è finita. E lo scenario diventa ancora più fosco rispetto alla crisi del canale di Suez oppure agli attacchi prezzolati di Hamas o degli Erzbollah. Con ricadute non solo militari ma anche pesantemente economiche per l’Occidente. A cominciare dal petrolio, per arrivare fino alle derrate alimentari e ai componenti essenziali per l’industria.

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