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IL BORGHESE
29 Maggio 2024 - 06:30
Il dramma degli 80enni soli e con gravi traumi Tre giorni sulla barella
Il vecchietto dove lo metto? Mi sovviene una canzone che Domenico Modugno cantava nel 1977, esattamente 47 anni fa, raccontando con parole amare, ma tragicamente profetiche, gli ultimi capitoli di vite vigorose che con l’età e gli acciacchi erano diventati d’impaccio alle famiglie. E non solo. Un intralcio, insomma per gli acciacchi, il tento e malandato progredire degli anni, alla vita che scorre sempre più veloce e non può attendere chi resta indietro.
Modugno se la prendeva con il rifiuto degli ospizi, le porte chiuse, le famiglie irriconoscenti. Ascolto quella musica ritmata e mi chiedo, a quasi un secolo di distanza che cosa avrebbe scritto oggi il genio di “Volare” sulla vita grama dei nostri vecchietti dagli ottanta anni in su, quando varcano la soglia di un ospedale. Proprio loro che in uno studio del Simeu, la società italiana di medicina di emergenza e di urgenza, varcano almeno tre, quattro e anche cinque volte in un anno la porta di un pronto soccorso. E finiscono in barella per restarci non solo ore, ma giorni e notte intere, prigionieri di una macchina stritolante dove i non colpevoli sono soltanto i medici e gli infermieri, vittime– anche loro – come lo sono i secondini che hanno la sventura di lavorare nelle galere.
Questi ultimi anni tra carenze di personale, traumi post pandemici, urgenze rimandate dai tempi del Covid e scarsamente recuperate, e tagli ai budget di spesa sanitaria, le magagne degli ottuagenari sono aumentate a dismisura. Si calcola che dal 2019 ad oggi gli anziani che si sono rivolti alla medicina d’urgenza sono aumentati di 250mila unità, facendo aumentare la percentuale sul totale degli accessi dal 23 al 27 per cento. Con l’effetto di far lievitare le attese dalla media di 25 ore di cinque anni fa ad oltre 35 di oggi.
Numeri che fotografano il tremendo disagio dei reparti di medicina d’urgenza e gettano ombre sui medici di famiglia (sempre meno dopo i pensionamenti) i quali non funzionano - come dovrebbero - da cuscinetto tra gli acciacchi del paziente e la corsa verso i pronto soccorso. Proprio come è stato descritto nell’ultimo convegno ai Principi di Piemonte sulla “Filiera della Salute e le opportunità per il Piemonte” dove ha preso corpo la proposta di garantire “7 giorni su 7”, l’assistenza anche a domicilio. Una sfida che richiederà l’aumento dei medici, una maggiore copertura delle urgenze, e il miglioramento di un sistema che fatica a reggere. A cui dovrebbe unirsi la stampella dei privati, pronti ad offrire servizi e prestazioni in strutture d’emergenza convenzionate.
E poi c’è il problema dei soldi, o meglio dell’aumento della spesa sanitaria: comparando i dati economici sempre con quelli del 2019 si assiste a un incremento di costi del 13% per gli esami di laboratorio, del 15% per i farmaci e addirittura del 23% per la diagnostica per immagini. D’altra parte non è un mistero per nessuno che la nostra Regione sia tra quelle con l’età media più elevata e un numero crescente di ultra 80enni, novantenni e addirittura centenari.
La situazione conferma che la canzone di Modugno ha un che di profetico. Perché il disagio che si vive nei pronto soccorso discende spesso dallo stato di abbandono o dalla solitudine dei pazienti cronici che hanno necessità frequenti di assistenza e di cure. Oltre al fatto che vi sono persone con gravi difficoltà sociali ed economiche.
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