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“ESIGENZE CAUTELARI”
13 Agosto 2024 - 06:30
Nel Digesto dell’imperatore Giustiniano, gigantesca raccolta di questioni di diritto romano, si affermava che, nel dubbio, “è meglio un colpevole libero che un innocente in galera”. Oggi, a ricordarci tanta saggezza c’è un caso emblematico, quello di un allevatore sardo, Beniamino Zuncheddu, tornato libero dopo 32 anni di carcere. Condannato in via definitiva all’ergastolo, con l’accusa di un triplice omicidio nel 1991 nelle campagne di Sinnai (Cagliari), e poi dichiarato innocente e liberato con sentenza della Corte d’Appello di Roma nel gennaio scorso. “Mi sono sentito -disse con un sorriso amaro uscendo di galera- come un uccellino in gabbia.
Così vive un innocente”. Un errore giudiziario. Il peggiore nella storia della giustizia repubblicana. Ma Zuncheddu non è il solo. Anzi. Dal 1991 all’anno scorso gli errori giudiziari in Italia hanno coinvolto oltre 30 mila persone. Innocenti a cui una condanna ha rovinato la vita, la famiglia e soprattutto le speranze. Vittime di “quelle esigenze cautelari” spesso abusate, diventate in molte occasioni strumento arbitrario in mano ai pm. Un “giustizialismo” impunito se è vero che le azioni disciplinari verso i magistrati rappresentano soltanto lo 0,2% delle pratiche inviate al ministero della Giustizia e alla Procura Generale della Cassazione. Come dire zero, con qualche rara eccezione. Da cui emerge la totale impunità per chi toglie ingiustamente la libertà ad una persona. Una vergogna per chi ha a cuore l’amministrazione della giustizia nel nostro Paese, un vulnus sociale e un costo per la collettività. Se esaminiamo gli ultimi 5 anni, scopriamo che sono state risarcite dallo Stato ben 4.368 persone ingiustamente arrestate, per complessivi 193 milioni di euro. Migliaia di errori giudiziari a fronte dei quali, dal 2017 al 2023 sono state avviate solo 87 azioni disciplinari con questi risultati: 44 non doversi procedere, 27 assoluzioni, 8 censure, 1 trasferimento, 7 ancora in corso. A conferma che la legge non è uguale per tutti, specie se si indossa la toga da magistrato.
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