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IL BORGHESE
03 Ottobre 2024 - 05:50
Le conseguenze degli attacchi su Israele (foto LaPresse)
Quasi un anno è passato dal terribile progrom del 7 ottobre, quando Israele subì una delle peggiori aggressioni della sua storia recente. Quell’attacco coordinato da Hamas, con il lancio indiscriminato di missili contro città israeliane, il brutale massacro di civili nei kibbutz e il rapimento di ostaggi ha scatenato una risposta inevitabile da parte dello Stato ebraico. Ma mentre il mondo assiste a questa sanguinosa guerra di attrito, molti sembrano dimenticare un dato fondamentale: Israele non sta combattendo semplicemente contro Hamas o Hezbollah. Dietro a queste organizzazioni terroristiche si cela l’ombra lunga dell’Iran, che finanzia, addestra e arma i suoi proxy con un unico obiettivo: la distruzione di Israele, o come loro lo chiamano, “l’entità sionista”.
Il regime iraniano, da oltre quattro decenni, è il principale sponsor del terrorismo nella regione mediorientale. Attraverso Hezbollah in Libano, Hamas in Palestina e i ribelli Houthi in Yemen, Teheran sta costruendo una rete di alleanze fondata sull’odio verso Israele e l’Occidente. È una strategia chiara e perversa: destabilizzare il Medio Oriente, esportare la rivoluzione islamica e, soprattutto, cancellare Israele dalla mappa terrestre. E, in questo disegno di morte e distruzione, il popolo iraniano stesso è vittima della sua leadership.
L'attacco missilistico diretto dell'Iran contro Israele è stata una mossa avventata della gerarchia del clero sciita che tiranneggia il popolo iraniano. Un attacco che ha rivelato, se ancora ce ne fosse stato bisogno, la vera natura del regime: un apparato brutale, disposto a sacrificare tutto pur di portare avanti il proprio intento messianico. Il regime iraniano ha dovuto attaccare Israele con missili balistici, peraltro intercettati dai sistemi di difesa israeliani, dopo le ripetute minacce, per non perdere la faccia e la credibilità, cadendo però nella trappola tesagli da Israele. L’attacco ha offerto il destro a Israele per poter reagire con forza e determinazione, e per promettere al regime iraniano una vicina, dura e adeguata risposta che sicuramente avrà tra gli obiettivi la distruzione degli impianti dove è in fase avanzata la costruzione di ordigni nucleari.
Mentre si parla di "escalation", per l’opera di distruzione degli arsenali e delle strutture di Hezbollah in Libano, è fondamentale non dimenticare che Israele è l'unica democrazia nel Medio Oriente. Circondata da dittature brutali e regimi teocratici, Israele rappresenta un pezzo di Occidente in una regione dominata dall'autoritarismo e dalla repressione.
Il suo stesso esistere è una sfida a questi regimi che vedono nella libertà, nella democrazia e nei diritti civili una minaccia al loro potere. Il regime iraniano, con le sue imposizioni tiranniche come l’obbligo del velo per le donne e l’incarcerazione sistematica dei dissidenti, rappresenta l'antitesi dei valori democratici che Israele incarna. Ma la lotta di Israele non riguarda solo la propria sopravvivenza: riguarda la difesa della democrazia, dei diritti umani e della libertà in una regione dove questi concetti sono soffocati dal fanatismo religioso e dall’oppressione. Eppure, nonostante la chiarezza della minaccia, molti giornali occidentali sembrano ignorare questa realtà. Le reazioni di Israele, necessarie per difendere la propria esistenza, vengono spesso descritte come sproporzionate o addirittura illegittime. Si evita di sottolineare la matrice terroristica di organizzazioni come Hamas, Hezbollah o gli Houthi, che usano le popolazioni civili come scudi umani e sono responsabili di orrendi attentati terroristici in Medio Oriente e nel mondo.
Per anni, molti media occidentali hanno dipinto un quadro distorto del conflitto israelo-palestinese, spesso ignorando la complessità della situazione e le legittime preoccupazioni di sicurezza di Israele. L’attacco coordinato da Hamas il 7 ottobre di un anno fa non è stato un’eccezione, ma il culmine di decenni di tentativi di distruggere Israele. Eppure, molti continuano a vedere Israele come l'aggressore. Un’aggressione che, secondo loro, sarebbe frutto della sua stessa esistenza. La realtà è ben diversa. Israele è da anni sotto attacco da più fronti: Gaza, Libano, Siria, Iraq, Yemen e, infine, direttamente dall'Iran. L’escalation a cui assistiamo non nasce dalla volontà di Israele di difendersi, ma dall’intento dichiarato dell’Iran di distruggere Israele. E ogni missile lanciato da Hezbollah o dagli Houthi è un promemoria del fallimento della deterrenza internazionale contro il regime iraniano. La guerra contro Israele non è più una questione regionale.
L’Iran, attraverso i suoi bracci armati, sta esportando il terrorismo su scala globale. Hezbollah, che per decenni ha seminato morte e distruzione dal Libano e oltre, ha continuato a ricevere sostegno finanziario e militare da Teheran. Gli Houthi, nel frattempo, stanno destabilizzando le rotte marittime nel Mar Rosso, attaccando navi che si dirigono verso il Canale di Suez e colpendo duramente il commercio internazionale. Questi attacchi non colpiscono solo Israele o i suoi alleati. Danneggiano l'intera economia globale, aumentando i costi del trasporto marittimo e alimentando l’inflazione. Le merci dirette in Europa sono costrette a fare il periplo dell’Africa, con conseguenze disastrose sui prezzi finali. L’Iran, attraverso i suoi serventi, sta quindi non solo minacciando Israele, ma destabilizzando l’intero Occidente.
Di fronte a questa situazione, è fondamentale che tutte le nazioni occidentali prendano una posizione univoca. Israele non è solo una nazione in lotta per la sua sopravvivenza, è un baluardo di democrazia in una regione dominata da regimi autoritari e teocratici. La sua difesa è una questione non solo di sicurezza regionale, ma di stabilità globale. La teocrazia iraniana, con la sua rete di alleanze terroristiche, rappresenta una minaccia non solo per Israele, ma per l’intero ordine mondiale. E ogni attacco a Israele è un attacco alla democrazia, alla libertà e ai diritti umani. La minaccia rappresentata dall'Iran e dalle sue reti proxy non è limitata al Medio Oriente. La sua portata si estende ben oltre i confini regionali, influenzando direttamente gli equilibri di potere e le dinamiche geopolitiche globali. I rapporti tra l'Iran e le potenze globali come Russia e Cina aggiungono una dimensione ulteriore alla già complessa scacchiera internazionale. Il sostegno militare e diplomatico che Teheran riceve da Mosca, ad esempio, rafforza la sua capacità di resistere alle pressioni occidentali e di proseguire la sua agenda destabilizzatrice in Medio Oriente. La cooperazione tra Russia e Iran, che si è intensificata negli ultimi anni, ha ripercussioni non solo sulla sicurezza di Israele, ma su quella dell'intero blocco occidentale. La possibilità che Teheran costruisca armi nucleari non solo minaccia direttamente Israele, ma potrebbe scatenare una corsa agli armamenti in tutto il Medio Oriente, spingendo altri paesi come l'Arabia Saudita a cercare anch'essi di acquisire capacità nucleari. Questo scenario aumenterebbe ulteriormente il rischio di conflitti armati su scala regionale e internazionale.
Mentre l’Iran continua a finanziare e sostenere il terrorismo, la risposta di Israele è stata inevitabile e legittima. La vera escalation, come ha ricordato il presidente americano Joe Biden, non è la difesa di Israele, ma l'aggressione di chi cerca di cancellare uno stato sovrano dalla faccia della terra. Israele, d'altra parte, vive sotto la costante minaccia di attacchi terroristici e bombardamenti, il che rende difficile immaginare una via d'uscita pacifica dal conflitto senza garantire prima la propria sicurezza. L'intervento delle Nazioni Unite e di organizzazioni internazionali è essenziale, ma spesso non sufficiente a creare un terreno di credibilità negoziale. La pace nel Medio Oriente non è solo una questione di equilibrio regionale, ma una responsabilità globale. La comunità internazionale deve assumere un ruolo attivo nel promuovere il dialogo, incoraggiando soluzioni che vadano oltre la semplice deterrenza militare. Tuttavia, per raggiungere un accordo duraturo, è essenziale riconoscere il diritto di Israele a esistere in sicurezza, così come il diritto del popolo palestinese a vivere in dignità e libertà.
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