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IL BORGHESE
04 Gennaio 2025 - 05:50
L’agonia dell’auto travolge l’indotto servono aiuti come quelli del Coavid
Come sempre, quando capita una grave crisi industriale, sono i più fragili a pagare il prezzo maggiore. Non mi riferisco solo ad operai e impiegati. A rimetterci la camicia sono anche imprenditori con aziende storiche alle spalle, ricche di tecnologie e di tradizioni. La tempesta perfetta rischia di cancellare capitali investiti da decenni e spesso spazza via anche proprietà personali. Così, nel mercato malato dell’auto dove l’ex Fiat nel 2024 è andata ritroso in termini di produzione addirittura al 1956, dimenticando anni d’oro come il 1989 in cui era la prima in Europa, a pagare pegno sono le imprese dell’indotto. L’eccellenza che ci ha resi famosi nel mondo e che ha fatto della filiera dell’automotive la più importante nel settore industriale italiano ed europeo. Un patrimonio di 2.500 fabbriche in Italia, di cui la metà con sede e operatività in Piemonte. Qualcosa che in termini anche sociali vale oltre 200mila lavoratori. E le loro famiglie. Ogni giorno leggiamo che in queste realtà dove un tempo si lavorava anche 24 ore su 24 con tre turni, si abbassano le serrande e si chiudono i cancelli. I nomi scorrono via sulle pagine dei giornali: dalla Lear di Grugliasco al gruppo Magnetto (stampi e componenti), dalla Omi Gruppo di Moncalieri, alla Yazaki, sempre di Grugliasco. Così come scorrono i numeri dei licenziamenti. E, come dice un imprenditore, «siamo solo all’inizio perché questa crisi finirà per ammazzarci, o almeno per ridurci ai minimi termini».
La discesa, in termini di fatturato, specie negli ultimi mesi, è stata terribile: -40% in meno e per alcune aziende anche peggio. Per colpa della direttiva Ue che ha imposto la costruzione di sole auto elettriche dal 2035 e da quest’anno pure pesanti sanzioni per chi mette sul mercato vetture con motore termico. Un doppio click di follia che ha fatto rintanare in se stesse le grandi banche, tagliando i fidi e richiesti persino rientri immediati dai clienti troppo esposti. Rischiamo grosso, specie in Piemonte dove pure operano Unicredit e Sanpaolo con i loro extra profitti. Qualcosa va fatto, e subito. Il Governo è informato, le associazioni categoria premono. Ma il sindacato (tranne la Cisl) non prende posizione contro l’Europa.
Serve un piano di soccorso economico eccezionale, come fu quello che permise alle aziende di superare la pandemia. Durante il Covid 19 le misure a sostegno delle attività produttive furono essenzialmente due: 1) La moratoria di 18 mesi delle rate di mutuo (interesse e capitale) dei piani di ammortamento in essere in quel momento sui prestiti concessi dalle banche nei periodi precedenti l’epidemia. 2) Ottenere finanziamenti ad un tasso molto basso con un piano di rimborso che prevedeva un periodo di 12 o 18 mesi di preammortamento (si rimborsava solo la rata di interessi) e dal 13° mese un piano di ammortamento mensile fino 5 anni, in funzione del volume di affari dell’impresa. Gli istituti bancari elargivano i finanziamenti con la garanzia o del Medio Credito Centrale o della SACE.
Ora si potrebbe riproporre il sostegno per i settori in crisi individuati dal ministero dell’industria. E ridare fiato a una costellazione di imprese che sono il vero incubatore di ogni vettura: dal design alla progettazione, dai componenti alla logistica fino alla rete dei concessionari. Ma il tempo incalza e il 2025 potrebbe essere un anno terribile.
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