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Il Borghese

Auto, così Stellantis e BYD si scoprono alleati

I piani di Imparato per Mirafiori, mentre Altavila lancia la collaborazione fra Europa e Cina

Mercato libero (e incentivi): così Stellantis e BYD si scoprono alleati

Se c’erano speranze (illusioni) residue per una fabbrica cinese in Italia, Alfredo Altavilla le ha spazzate vie: «Basta con questo discorso, prima pensiamo a saturare gli impianti in Turchia e Ungheria». Ossia quelli per cui l’ex manager della Fiat di Marchionne, ora executive advisor per l’Europa di BYD, ha iniziato a reclutare fornitori italiani - «questa filiera è la migliore» -, alcuni dei quali, qui in Piemonte, già pronti ad aprire in Ungheria o Turchia. Ossia: lo spettro delocalizzazione incombe.

Al Mauto si immaginava che potesse andare in scena uno scontro fra i due colossi che, in qualche modo, si potrebbero definire entrambi Made in Torino. Stellantis perché nasce da Fiat; BYD perché in Europa è guidata da un manager ex Fiat. Invece, più che guerra, è stata quasi una santa alleanza di vedute sui temi (e le colpe) dell’Europa. Con Jean Philippe Imparato, capo di Europe Enlarged, che ha ribadito il destino di Mirafiori, strettamente legato alla Fiat 500 Ibrida: «Non voglio che gli operai passino la vita in cassa integrazione - si è spinto a dire -. Con questa auto risolveremo i problemi dello stabilimento, arriveremo a produrne 130mila. Fa parte del Piano Italia: lo porto sempre a casa con me, la sera». E per buona misura mostra la piantina degli stabilimenti italiani al pubblico del convegno al Mauto

Ma produrre non basta: quelle vetture vanno vendute. E fra dazi (e contro dazi) e sanzioni per le emissioni di CO2, fine del motore endotermico nel 2035, ciò che manca è «un libero mercato». Ha detto: «Vogliamo un commercio libero, equo e stabile. Abbiamo bisogno di stabilità». E non solo: «Da dicembre sono spariti tutti gli incentivi all’acquisto di veicoli elettrici, tranne forse in Polonia, è cambiata l’impostazione regolamentare. C’è un problema europeo che si chiama competitività, dobbiamo agire sui costi dell’energia e del lavoro». E ha ripetuto quanto espresso a Roma, durante l’audizione di John Elkann a Montecitorio: il costo di produzione - energia e lavoratori - di una macchina in Italia è tre volte quello spagnolo, quattro volte quello francese.

Non un concetto troppo diverso da quello espresso, prima di lui, da Ole Kallenius, ceo di Mercedes ma soprattutto presidente dell’Acea, l’associazione dei costruttori europei: i produttori «hanno bisogno di una spinta politica forte. Ci serve un approccio realistico alla mobilità europea, un mercato dove il cliente sceglie la mobilità sulle proprie esigenze, non un mercato basato sulle sanzioni. Serve ridefinizione degli obiettivi di CO2 al 2025 - ha proseguito -. È essenziale una azione rapida sui prossimi passi, il piano d’azione per l’automobile è l’inizio. Politica e industria devono essere uniti per plasmare il processo di decarbonizzazione». Come a dire, noi abbiamo investito ora tocca all’Europa. Con politiche di defiscalizzazione o incentivi tout court?

Di mercato libero, alla fin fine, parla anche Altavilla, che finge di scansare il problema dei dazi, almeno quelli americani: «Ce li aveva già imposti Biden» ha detto. Ma su quelli europei in chiave anticinese, il discorso cambia: «Finché i dazi rimarranno in vigore, non possiamo aspettarci rivoluzioni di mercato straordinarie. Se si consentirà ai produttori cinesi di offrire prodotti realmente competitivi, la loro quota di mercato potrebbe facilmente superare la doppia cifra». Quando si tratta di un cambio di rotta a livello dell’Unione Europea, Altavilla è scettico. «Il rinvio delle sanzioni è una sciocchezza. Il vero progresso può arrivare soltanto avvicinandosi al principio della neutralità tecnologica. Un primo passo potrebbe essere includere le auto ibride nei veicoli che saranno autorizzati a circolare fino al 2035. L’industria necessita di stabilità e non può far fronte a regole che cambiano ogni sei mesi o a ogni nuovo commissario» ha spiegato Altavilla. Per il quale «la collaborazione con la Cina potrebbe rivelarsi un vantaggio per entrambi» e soprattutto per i consumatori. Come a dire, l’alleanza che non ti aspetti... (o no?)

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