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Il Borghese

Se anche l'oro finisce in cassa (integrazione)

A Valenza, all'ombra di Bulgari, Damiani e Cartier, il paradosso delle piccole imprese artigiane

Se anche l'oro finisce in cassa (integrazione)

Il colosso incassa e il pesce piccolo in... cassa. Impietoso (e scontato, lo ammetto) gioco di parole per fotografare il rapporto spesso squilibrato fra i grandi soggetti economici e i piccoli, fra l’industria (anche quella più avanzata tecnologicamente) e l’artigiano che ne rappresenta l’indotto. A Torino lo sappiamo bene: Mirafiori è nel diciannovesimo anno consecutivo di ammortizzatori sociali e, a ogni crisi di Fiat o Stellantis, a ogni riorganizzazione, decine se non centinaia di piccole e medie imprese soffrono, se non addirittura chiudono. Ciò che diventa persino inaspettato, però, è che lo spettro della cassa integrazione arrivi anche là dove la produzione è in aumento, dove il settore appare in crescita costante: quello dell’oro.

In Piemonte, a Valenza, la maison Bulgari ha impiantato lo stabilimento più grande d’Europa, non distante da Damiani, Cartier (che ha aperto una sede anche a Torino). Di un migliaio circa di imprese del settore (fra lavorazione dell'oro, dei diamanti e produzione di gioielli) in tutto il Piemonte, oltre 700 sono collocate in questo distretto, tanto per dire le dimensioni dell’indotto. Dal 2019 al 2022, qui l’occupazione è cresciuta del 579%. E il 2024 si è chiuso con un +22% di fatturato generale, per il settore.

Eppure, già a gennaio, il Sole-24Ore lanciava l’allarme su 2.500 addetti che sarebbero andati in cassa integrazione. Al momento sono oltre 700 i lavoratori che usufruiscono degli ammortizzatori sociali e una dozzina di aziende di piccole e medie dimensioni sono a un passo dalla chiusura. Ma come è possibile? Il dramma delle imprese artigiane è la monocomittenza, o se preferite la dipendenza da un unico fornitore: come per la Lear che faceva i sedili per il polo del lusso di Maserati, o per le tante “boite” che servivano Fiat, così piccoli laboratori lavorano per i giganti, ma con ritmi legati alla stagionalità e alla volubilità del settore luxury.

Professionalità richiestissime, ma realtà troppo piccole per stare da sole su un mercato cannibale. Dove, non solo per l’auto, i profitti non sono più da tempo legati alla produzione, ma a plusvalore e capitalizzazione finanziaria. Ma, nonostante il luccicchio dell’oro, non c’è la medesima attenzione riservata all’automotive.

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