l'editoriale
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02 Febbraio 2023 - 08:31
Jane ha diciotto anni e consegna pizze a domicilio. Una vera deve portare una classica “pizza pepperoni” a una signora di nome Jenny, ma la richiesta è particolare: la signora vuole dei cetriolini sopra, che nel menù non ci sono. Ma Jenny è disperata, perché suo figlio Adam non mangia da giorni e l’unica soluzione è portargli il suo piatto preferito. Ora, Jane è una che non si aspetta niente dalla vita, e vedremo perché, e neppure appare dotata di chissà quale slancio altruista, eppure lungo la strada si ferma, compra i cetriolini al supermercato e li mette sulla pizza per Jenny. Perché lo fa? Perché ha sentito qualcosa nella voce di lei? Perché è una madre?
Già, forse questo è un punto di possibile analisi: la nostra Pizza Girl è incinta di qualche mese, quindi forse in Jenny può vedere una se stessa adulta, madre, realizzata (oddio... forse per i primi cinque minuti si può pensare, poi si vede il disordine di casa), comunque una persona che è andata avanti. Lei, invece, è bloccata: non ha ambizioni, non pensa al college, va avanti e indietro per Los Angeles con la sua vecchia Ford Festiva - in un film di genere, sarebbe quella che viene ammazzata dal maniaco nelle prime scene -, ascolta irritata il fidanzato Billy, per lei ormai così insignificante, parlare con sua madre del futuro del piccolo che deve ancora nascere, fare piani su piani. E lei? Lei si trascina, passa le serate a fare zapping in televisione buttando giù una birra dopo l’altra, come suo padre, un alcolista morto un anno prima. Jenny, che capisce che è incinta, le dice subito: «Non sei eccitata?». No, non lo è proprio. Tra loro due nascerà un’amicizia intensa, ai limiti della relazione sensuale, ma anche disturbata, segnata dall’ossessione.
Segnato da un umorismo anche feroce, marcato da una disillusione totale, “Pizza Girl” (Blackie edizioni, 18,90 euro, traduzione di Monica Nastase) è l’esordio letterario della giovane sceneggiatrice Jean Kyoung-Frazier, padre americano e madre coreana. «Se dovessi classificare il mio debutto - ha detto in una intervista in America -, direi che si adatta alla tendenza della triste giovane donna letteraria millennial, ma voglio sempre allontanarmi da linee chiare e dure». A suo dire, il concetto che permea il libro è quello del cosiddetto “han” della cultura coreana: ossia «l’accettazione di avere una vita piena di dolore e risentimento».
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