l'editoriale
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10 Marzo 2021 - 08:18
Lo zaino di Gucci fotografato sul banco di scuola, alle nove di mattina, ed esibito su Instagram. Tre rapine - di cellulari e portafogli - e un’aggressione con coccio di bottiglia a un tassista, commesse pochi giorni dopo i saccheggi della sera del 26 ottobre 2020. Sono alcuni dei dettagli che certificano il «senso di impunità» - scrivono gli inquirenti - che accomuna i membri delle bande che fecero razzia nelle boutique del centro, sfondando le vetrine di Gucci e di altri 37 negozi. Quella sera, tra le piazze Castello e Vittorio, 400 incappucciati stavano lanciando petardi e pietre contro la polizia. La manifestazione contro il lockdown era degenerata. Lo avevano previsto i 37 vandali (tra cui 12 minorenni), arrestati ieri mattina dalla squadra mobile per devastazione e saccheggio. Le loro azioni, scrivono i pm Paolo Scafi e Giuseppe Drammis nel fermo, erano «premeditate». Vari gruppetti si erano dati appuntamento per scatenare il caos, «approfittando del fatto che le forze dell’ordine fossero impegnate» a contenere i tafferugli. Le manette sono scattate per reiterazione del reato (molti hanno precedenti) e pericolo di fuga: c’è chi si era già organizzato per scappare in Egitto, Francia, Germania e Bosnia.
Gli arrestati - il più piccolo ha 15 anni, il più grande 27 – si erano organizzati usando i social poche ora prima della guerriglia: «Andiamo in centro, stasera c’è casino». Erano bastate poche fermate sul 4 e qualche monopattino noleggiato per comparire, vestiti firmati, in via Roma. Che in questa indagine non è tanto la via «simbolo del capitalismo» (come dirà un solo indagato), quanto, più semplicemente, il luogo del lusso da depredare. Che fosse la volontà di rubare vestiti di marca a spingere i ragazzi di periferia a dare l’assalto alle vetrine, emerge da particolari. Come la rissa, a suon di calci e pugni, che scatta dopo i primi furti da Gucci, da cui i ladri porteranno via merce per 94mila euro (229mila il prezzo di vendita). Quattro ragazzi, in mezzo alla mischia, si picchiano. Motivo, una borsetta contesa. Un’altra scazzottata nascerà dopo, in via Cavour, perché qualcuno aveva mostrato su Instagram foto della refurtiva. Mossa che non sfuggirà ai poliziotti. Al saccheggio partecipano nordafricani di periferia, coppiette di ventenni italiani, cani sciolti da Mirafiori. L’unico “anziano” è un ricettatore di metadone. Sono due le “ondate” predatorie. La prima scatta alle 21,35: in venti spaccano le vetrine con pietre e manichini, per poi portare via borse, occhiali, pantaloni. Alle 22 tornano in 30. Quasi nessuno degli arrestati è incensurato: tre nordafricani erano già stati indagati per rapine collegate ai fatti di piazza San Carlo (3 giugno 2017). Anass Chakir (condannato per furti e rapine), era stato ammonito per violenza domestica. Abdeloihad Hajjoub era stato espulso dal territorio nazionale dal questore, Giuseppe De Matteis, ma non aveva ottemperato. Sia lui, che Trachi Houssam (ex occupante della Cavallerizza), hanno rapinato passanti anche dopo il 26 ottobre. La squadra mobile è risalita ai saccheggiatori analizzando i social e i filmati delle telecamere del centro. Un tatuaggio sotto all’occhio a forma di lacrima, il cappuccio rosa di una felpa, il bianco immacolato di un paio di Nike nuove di zecca. Sono stati i dettagli a incastrare i ladri.
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