«Se parlo io, gli faccio fare cent'anni». La frase, pronunciata da Felice Filippis e riferita a Francesco Furchì, sarebbe stata catturata da una cimice piazzata nell'abitazione del sessantacinquenne di Caselle, comparso ieri mattina in aula 4 come testimone nel processo sull'omicidio dell'ex consigliere comunale dell'Udc Alberto Musy. Filippis, amico di vecchia data del faccendiere di origini calabresi accusato del delitto, avrebbe utilizzato quelle parole durante una concitata conversazione con la moglie. La Corte d'assise di Torino, presieduta dal giudice Pietro Capello, ha conferito quindi ad alcuni periti l'incarico di ascoltare e trascrivere quella conversazione. La discussione della perizia avverrà in occasione dell'udienza già fissata per il 20 novembre. «Se parlo io, gli faccio fare cent'anni». Questo avrebbe detto Filippis alla moglie riferendosi a Furchì. Ieri mattina in aula, tuttavia, l'uomo ha escluso di aver pronunciato quelle parole. E più in generale, Filippis ha spiegato di non aver quasi mai affrontato l'argomento "Furchì-Musy" con la moglie. Il pensionato sessantacinquenne, amico dell'imputato già a partire dai lontani anni '70, ha quindi negato di aver mai ricevuto da Furchì un'arma, e di conseguenza ha escluso di aver nascosto una pistola in un'intercapedine della capanna costruita all'interno di un orto abusivo alla periferia di Caselle Torinese. «Furchì è venuto a trovarmi mentre ero in quell'orto, ma nella capanna non ha mai messo piede. Non poteva quindi essere a conoscenza di quell'intercapedine lungo il pavimento». Filippis ha quindi spiegato di aver affrontato in una sola occasione l'argomento Musy mentre si trovava in compagnia dell'amico "Franco" Furchì. «Ma fu lui a tirare fuori quella storia, era il mese di agosto del 2012». In quel frangente l'avvocato Musy era ancora in coma in un letto d'ospedale, sarebbe poi morto alcuni mesi più tardi. «Mi disse: "Tutti lo sanno chi è stato, ma nessuno lo dice". Io non gli chiesi nulla, non mi interessava sapere nulla». Filippis ha poi riferito alla Corte di essere stato minacciato, in una circostanza, dallo stesso Furchì. «Ricordo che l'avevo rimproverato per il comportamento che stava assumendo nei confronti della moglie, poi gli chiesi di uscire da casa mia. Qualche giorno dopo ci incontrammo e lui mi disse: "Io a te ti dovrei sparare perché mi hai chiamato infame". Non ho mai riferito questa circostanza agli investigatori - ha quindi spiegato il teste -, perché ritenevo Furchì una persona non in grado di fare una cosa del genere, vale a dire ammazzare. Ogni tanto lui dice delle cose, come capita a tutti». Felice Filippis non risulta al momento indagato. Il pubblico ministero Roberto Furlan sospetta tuttavia che potrebbe avere aiutato Furchì a nascondere la pistola con cui è stato ucciso Alberto Musy. Nella testimonianza resa ieri in aula, Filippis è stato affiancato dal suo legale di fiducia, l'avvocato Silvia Navone. g.fal.
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