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Malagiustizia

Maltrattava la moglie da decenni ma è libero di tornare a casa in attesa del processo

Tolte le misure cautelari al marito e la donna è stata costretta a lasciare la sua abitazione di Rivarolo Canavese

Allontanato di casa per maltrattamenti alla moglie, in attesa del processo adesso potrà fare ritorno nell’abitazione. E adesso la donna, una 70enne di Rivarolo, e i suoi famigliari lamentano: «Allora a cosa serve denunciare se poi le tutele vengono tolte così rapidamente?».

La vicenda riguarda Francesca (nome di fantasia), sposata da 50 anni con un uomo di 71 anni, che dopo decenni di angherie ha deciso di sporgere denuncia nell’agosto dello scorso anno, raccontando le violenze psicologhe ed economiche subite nel corso del lungo matrimonio. A seguito della denuncia il giudice di Ivrea Fabio Rabagliati a settembre ha emesso un’ordinanza di allontanamento dall’abitazione coniugale e il divieto di avvicinamento. A fine febbraio scorso, però, a sei mesi dall’ordinanza lo stesso magistrato ha revocato la misura.

«Abbiamo presentato ricorso al Tribunale di Ivrea per richiedere un ordine di protezione a tutela della signora - spiega l’avvocato Valeria Orso Manzonetta, che rappresenta la donna - il giudice non solo ha rigettato la domanda, ma ha anche condannato la mia assistita a rifondare le spese legali a suo marito. Si fa tanto parlare di codice rosso, di tutela delle donne che denunciano, delle campagne di sensibilizzazione con le scarpe e le panchine rosse e poi la realtà è completamente un’altra. Basta che quest’uomo, allontanato per sei mesi, si sia “comportato bene” che viene revocata la misura nei suoi confronti. Ora possiamo solo sperare che non succeda nulla alla signora e ai suoi famigliari, in attesa che inizi il processo». Ora Francesca ha paura: «Sono andata a vivere con la famiglia di mia figlia all’idea che lui possa rientrare a casa. Ora che può muoversi liberamente, se decidesse di farci del male chi potrebbe impedirglielo?». Poi si sfoga ricordando con amarezza le sofferenze: «Mi umiliava quotidianamente, da anni, mi diceva che ero stupida, che ero inadeguata e incapace. Che non sapevo fare tante cose, che le altre donne, che lui frequentava senza ritegno, erano meglio di me. Avevo un negozio, molti anni fa, in un paese qui vicino. Lui mi ha costretto a cedere l’attività e ad andare a lavorare con lui al mercato. Sono diventata economicamente dipendente da lui. Lui tratteneva tutti i guadagni e io ero costretta ad andare da lui a chiedere i soldi, una paghetta. Tutte le proprietà erano a suo nome. Non mi rendevo conto che anche questi erano maltrattamenti. Più di tutto era la paura. Costante. Negli ultimi anni non sopportavo più questa situazione, sono scappata di casa tre volte. L’ultima volta sono andata a piedi, sotto il sole di agosto, fino a Feletto, trovando riparo da un’amica. Quella fu l’ultimo episodio, mi aveva messo un pugno alla gola, mi aveva minacciato. Fu mia figlia ad aiutarmi a trovare la forza di sporgere denuncia».

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