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La sentenza

Killer condannato 60 anni dopo l'omicidio che doveva vendicare

Pena a 30 anni di carcere per Giuseppe Crea, che uccise Giuseppe Gioffrè nel 2004

sicari cosche

Uno sgarro alla ‘ndrangheta pagato con la vita a distanza di 40 anni. E un giallo risolto dopo altri 20: così, dopo oltre mezzo secolo dal primo omicidio, è arrivata la condanna per uno degli assassini di Giuseppe Gioffrè, pensionato 77enne ucciso a colpi di pistola a San Mauro Torinese l’11 luglio 2004.
Oggi Giuseppe Crea, 45 anni, è stato condannato a 30 anni di carcere al termine del giudizio abbreviato in primo grado. Per il secondo imputato, il 53enne Paolo Alvaro, si procederà con il giudizio ordinario. Il terzo, Stefano Alvaro, era finito in manette anni fa ed è già stato condannato per l’omicidio.


La pm Manuela Pedrotta, titolare dell’inchiesta insieme alla collega Livia Locci, ha ricostruito tutti i fatti che hanno portato al processo, risalendo addirittura al 1964: all’epoca Gioffrè faceva il panettiere e gestiva un negozio di alimentari a Sant’Eufemia d’Aspromonte, in provincia di Reggio Calabria. Dove, secondo quanto è stato ricostruito, disturbava le attività commerciali delle famiglie Alvaro-Dalmato. Infatti il boss Rocco Salvatore Alvaro, conosciuto come “U ‘vampiru”, aveva dato ordine di ricondurre Gioffrè a più miti pretese (o pagava il pizzo o chiudeva): per questo due suoi uomini andarono al forno e minacciarono il panettiere. Che reagì, sparò e uccise gli emissari di “U ‘vampiru”. Poi si consegnò ai carabinieri e venne condannato. E, mentre lui era in carcere, un commando della cosca uccise la moglie e un figlio, ferendo altri due bambini (in quella che le cronache ricordano come la strage di Sant’Eufemia). D’altronde, secondo quanto ricostruito dalle indagini, un parente degli emissari della cosca si era avvicinato a uno dei corpi senza vita e ne bevve il sangue: un gesto che simboleggia la promessa di vendicare quegli omicidi.
Rilasciato, Gioffrè lasciò per sempre la Calabria, si trasferì a San Mauro lavorò in Fiat fino alla pensione. Si risposò e, proprio mentre era seduto su una panchina vicino casa insieme alla moglie, venne ammazzato brutalmente con quattro colpi di pistola dai tre killer arrivati apposta dal Sud con una Fiat Uno (risultata rubata). Cui, dopo aver sparato, diedero fuoco in un bosco a Mezzi Po.

Ma le fiamme non hanno cancellato alcune prove decisive che i carabinieri del Ris, dopo 18 anni, sono ancora riusciti a trovare: gli esperti adottando nuove tecnologie, hanno trovato delle impronte digitali e altri elementi su guanti di lattice, una tanica e una bottiglietta d’acqua, trovati vicino all’auto bruciata.

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