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All'ospedale Regina Margherita
07 Novembre 2023 - 08:50
Il suo papà ha ucciso la mamma e poi si è suicidato. Ma la piccola Noemi non lo sa ancora: un modo per tutelarla ed evitare che, a soli 3 anni e mezzo, scopra perché la sua vita è stata stravolta. E, soprattutto, perché si trova all’ospedale Regina Margherita e non in casa sua con i suoi genitori.
Il motivo è che, sabato 28 ottobre, suo padre Agostino Annunziata ha sgozzato la compagna Annalisa D’Auria nel loro appartamento di via Monte Bianco 18/2 a Rivoli. In casa c’era anche la bimba, che l’assassino ha poi caricato sulla sua Fiat Punto e ha portato con sé sul posto di lavoro, dove si è ucciso lanciandosi da un silos della Massifond di Orbassano.
Da quel momento la piccola Noemi è ricoverata al Regina Margherita, assistita dai parenti più stretti che le sono rimasti. E dagli psicologi guidati da Sara Simona Racalbuto, referente della psicologia pediatrica dell’ospedale infantile: «Noi ci occupiamo di traumi e dobbiamo avere bene in mente i passi da compiere per proteggere le vittime di queste tragedie, evitando anche che possano scoprire qualcosa su quello che è successo» premette la psicologa. Che poi entra nel merito: «Abbiamo un protocollo specifico per questi casi, con un tempo preciso in cui intervenire per evitare che, per esempio, il bimbo sviluppi un disturbo post traumatico da stress o uno stato dissociativo: per questo i nostri piccoli pazienti vengono sottoposti a una serie di test. E si cerca di capire cosa ricordino e cos’abbiano visto, soprattutto attraverso il disegno: loro comunicano così».
Nel caso di una bambina piccola come Noemi Annunziata è particolarmente importante anche avere dei parenti vicini, che vengono “formati” per supportare la bimba e rispondere alle sue domande. D’altronde ha sicuramente capito che i suoi genitori hanno litigato e che è successo qualcosa di grave, anche se non si sa se abbia assistito all’omicidio: «Bisogna evitare che resti sempre con degli estranei, individuando familiari di riferimento che non la lascino mai da sola. Parliamo di un paziente sconvolto dalla perdita di entrambi i genitori, un concetto da introdurre a piccoli passi».
Cosa succede se chiede della mamma o del papà? «All’inizio si dice che in quel momento non ci sono ma ci sono gli zii o i nonni, in modo da creare un legame di supporto ed evitare che il bimbo resti da solo. Poi si corregge il tiro, dicendo che mamma e papà non ci sono più. Ma è graduale e “personalizzato”, in base a come si comporta il bambino e alle sue esperienze pregresse: dipende, per esempio, se sanno che esiste il Cielo e se già avuto esperienze con la morte, magari con la perdita di un animale. In questi casi le fiabe aiutano molto: di recente io uso molto Frozen, dove muoiono entrambi i genitori». E si dice, come in questo caso, che il papà ha ucciso la mamma? «Non serve a niente essere più realisti del re, aggraverebbe la situazione perché un bimbo vuole bene a entrambi i genitori e odiarne uno significa portarlo a odiare una parte di sé. Ma questo non vuol dire che si debba mentire al bambino: è giusto che sappia che mamma e papà non ci sono più, che sia triste e cominci a elaborare il lutto. L’importante è che questi cuccioli capiscano che non sono stati abbandonati e che quello che è successo non è colpa loro».
Sara Simona Racalbuto, referente della psicologia pediatrica del Regina Margherita
Intanto la Procura di Torino ha dato il nullaosta ai funerali di vittima e assassino, che dovrebbero svolgersi entrambi nel paese di origine della coppia, Nocera Inferiore (in provincia di Salerno). La data non è ancora stata fissata ma sono previsti già questa settimana.
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