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Il processo

«Ho ucciso mamma, scusate»: arriva la condanna

Ahmad Imran ha preso a martellate la madre Rubina Kousar

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Il papà e il fratello di Ahmad Imran hanno seguito ogni parola del processo. Poi, con l’aiuto del pm Giorgio Nicola e di un’interprete, si sono fatti riferire la scelta dei giudici: «Lo hanno condannato all’ergastolo per l’omicidio della mamma: fatevi forza». E loro hanno abbassato la testa, senza dire nulla.
Si è concluso così, alle 13 di ieri, il processo davanti alla Corte d’Assiste del tribunale di Torino: Imran, 23 anni, ha letto una lettera di poche righe, in cui si è scusato per il suo gesto e ha detto che amava la mamma Rubina Kousar, 45 anni. Poi ha sentito la sentenza dagli spazi destinati agli imputati detenuti.

Il giovane di origine pakistana si trova in carcere dallo scorso 5 marzo, quando «ha colpito la madre sei o sette volte con un martello, poi le ha tagliato la gola con un coltello» come ha ricordato in aula il pubblico ministero. E’ successo intorno alle 9.30 in via Sommeiller a Pinerolo, nella casa dove madre e figlio vivevano insieme al padre Alì Asghar e alla sorella 17enne, Laiba. Sono stati i primi a chiamare i soccorsi e ad accusare Ahmad Imran: la ragazza è tornata in Pakistan e nella scorsa udienza è stata sentita con una chiamata WhatsApp dal cellulare della giudice Alessandra Salvadori. «Qualche giorno prima c’era stato un litigio con il padre - ha ricordato il pm Nicola nella sua requisitoria, conclusa con la richiesta dell’ergastolo - La madre gli aveva detto di portare rispetto al papà. E il 5 marzo ha rimproverato Imram, dicendogli “smettila di stare al telefono e cercati un lavoro”: due episodi che hanno scatenato la rabbia del ragazzo».

L’imputato è stato dichiarato «capace di intendere di volere e privo di vizi di mente» dallo psichiatra Maurizio Desana. La Corte ha respinto la richiesta dell’avvocato del giovane, Simona Bertrand, di integrare la perizia psichiatrica o di effettuarne una nuova: «Aveva lacune e incongruenze - resta convinta la legale - Ma, soprattutto, non si è tenuto conto dei problemi del ragazzo e del fatto che lui vivesse la difficoltà a trovare lavoro come un malessere. La sua non era svogliatezza».

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