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Il divieto

Nel Canavese il calcio al parco è vietato: il pallone diventa un problema di ordine pubblico

Multe fino a 500 euro per chi gioca a pallone. Ma il provvedimento accende il dibattito: stiamo educando o reprimendo?

Nel Canavese il calcio al parco è vietato: il pallone diventa un problema di ordine pubblico

Giocare a pallone in un parco pubblico? Da oggi può costare fino a 500 euro di multa. Succede al parco di via Trento di San Benigno Canavese dove con l’ordinanza n. 3/25 firmata l’11 luglio dal sindaco Alberto Graffino, è stato imposto il divieto di giocare a calcio nelle ore serali, con tanto di limitazione oraria di accesso all’area verde: dalle 9 alle 21. L’obiettivo dichiarato è quello di tutelare il decoro urbano e la quiete pubblica dopo alcune segnalazioni di disturbo e danni alle attrezzature.

Il testo, redatto su due pagine e firmato dalla Polizia Locale, si rifà al Testo Unico di pubblica sicurezza e ai decreti del Ministero dell’Interno, e giustifica il provvedimento con espressioni solenni: “pregiudizio per i diritti fondamentali altrui”, “condizionamento negativo della fruizione degli spazi pubblici”. Ma la reazione di molti cittadini non si è fatta attendere.

Non è la prima volta che in Italia si vieta il gioco più popolare nei luoghi pubblici. Fossano, Pieve di Teco, Lipari, Figline e Incisa Valdarno, Grottammare, Montecchio Maggiore: tutti comuni dove sono apparsi cartelli con scritto “Vietato giocare a pallone”. Ora anche San Benigno Canavese si aggiunge alla lista.

Ma dietro l’apparente misura di buon senso – contenere rumori e danni – si cela un quesito più profondo: vogliamo davvero una società che reprime il gioco anziché educare? È il pallone il vero problema, o piuttosto un bersaglio facile in una società che fatica a gestire il conflitto e preferisce vietare? Il dibattito diventa generazionale. Il messaggio implicito che l’ordinanza lancia ai più giovani è chiaro: non c’è spazio per voi. Non nei cortili (vietati), né nelle strade (pericolose), né nei parchi (disturbano). Il risultato è una restrizione progressiva della socialità spontanea, in una società sempre più attenta al silenzio e sempre meno alla crescita relazionale.

Eppure – ricordano genitori e educatori – è proprio il gioco libero che insegna il rispetto delle regole, la gestione della frustrazione, il valore del gruppo. Ma per imparare tutto questo, i ragazzi devono avere luoghi dove potersi muovere, sbagliare, crescere.

A fronte di episodi isolati di inciviltà, la risposta più efficace non può essere una generalizzazione repressiva. Serve una visione diversa di sicurezza urbana, che non sia fatta solo di telecamere e sanzioni, ma anche di educatori, presìdi sociali, ascolto e fiducia. Come osserva più di un residente, colpire il pallone è spesso più semplice che affrontare il problema alla radice: la mancanza di spazi adeguati, la povertà educativa, l’assenza di relazioni tra generazioni.

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