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01 Agosto 2025 - 11:50
Tra i dolci più antichi e identitari del Piemonte, i canestrelli occupano un posto speciale. Nonostante portino lo stesso nome, questi sottili biscotti hanno caratteristiche e ricette diverse a seconda delle aree in cui vengono prodotti, come il Canavese, la Val di Susa, il Biellese e altre zone della regione.
Il termine canestrello deriva dai "canestri", i tradizionali recipienti intrecciati in vimini in cui, un tempo, si riponevano i dolci dopo la cottura. Questa origine linguistica racconta già molto del loro legame con la cultura contadina e con le tradizioni familiari del territorio.
Alla base dei canestrelli troviamo ingredienti semplici: farina, burro, zucchero e uova. A questi, ogni zona – e spesso ogni famiglia – aggiunge aromi e ingredienti che personalizzano il prodotto: vaniglia, cacao, nocciole, limone, arancia, caffè, menta, cocco, pistacchio, e ancora noce moscata, chiodi di garofano, vino bianco o rosso, marsala, rhum o latte. Il risultato è un biscotto sottile, friabile, spesso di forma irregolare, ma sempre capace di evocare memorie familiari e profumi d’altri tempi.
Il procedimento tradizionale prevede che l'impasto venga suddiviso in palline, poi pressate fra due lastre di ferro montate su una lunga pinza. Questa viene scaldata sul fuoco, ruotandola da entrambi i lati per circa trenta secondi – o, come vuole la tradizione, “per il tempo di un’Avemaria recitata con devozione”.
Le lastre in ferro spesso recano incisioni decorative o le iniziali della famiglia proprietaria, che si imprimono in rilievo sui canestrelli durante la cottura, trasformando ogni biscotto in un piccolo oggetto d’arte.
I canestrelli raccontano anche una geografia gastronomica:
A Borgofranco d'Ivrea, sono sottilissimi e croccanti, spesso impressi con stemmi familiari.
A Montanaro, risultano molto sottili, con una grigliatura appena visibile.
A Vaie e in Val di Susa, sono invece più spessi e con grigliature marcate.
A Tonengo di Mazzè e Polonghera, ricordano vere e proprie monete medievali.
Le radici dei canestrelli affondano probabilmente nel tardo Medioevo, quando erano noti come nebule e pare costituissero una variante dolce delle ostie liturgiche. Un primo riferimento tangibile si trova in un ferro per la cottura rinvenuto a Crevacuore e datato 1750.
Il primo documento scritto che menziona la parola canastrelli risale invece al 1805, durante il periodo napoleonico. Si tratta della Notice sur l’arrondissement de Bielle, oggi conservata alla Biblioteca Reale di Torino. Nel testo si leggono apprezzamenti per questi dolci a base di cioccolato, esportati verso città come Vercelli e Torino.
Le ricette familiari documentate risalgono alla fine dell’Ottocento o ai primi del Novecento, anche se per lungo tempo la preparazione è stata tramandata oralmente da madre a figlia, tipico della cultura gastronomica contadina.
I canestrelli erano presenti in tutte le occasioni importanti: matrimoni, feste patronali, carnevali. A Tonengo di Mazzè, il canestrel è ancora oggi il dolce nuziale per eccellenza.
Oggi, sono ufficialmente riconosciuti come "Prodotto agroalimentare tradizionale del Piemonte", secondo quanto previsto dal Decreto Legislativo 173/1998 e dalla normativa regionale. Questa classificazione testimonia l’importanza storica e culturale del dolce, proteggendone la tradizione.
Una delle versioni più celebri e longeve è quella di Tonengo di Mazzè. Ecco la ricetta tradizionale:
Ingredienti:
500 g di farina
250 g di burro
250 g di zucchero
1 bustina di vaniglia
noce moscata grattugiata
scorza di 1 limone grattugiata
1 bicchiere di vino bianco
1 bicchierino di rhum
1 uovo intero
Procedimento:
Amalgamare prima gli ingredienti asciutti, poi unire quelli liquidi e impastare bene. Formare palline grandi come noci, cuocerle nell’apposito ferro ben caldo e unto di burro, girandolo da entrambi i lati finché i canestrelli assumono un colore ambrato.
I canestrelli, con la loro lunga storia, la varietà di gusti e l’artigianalità del processo, rappresentano una vera e propria eredità dolciaria piemontese, dove ogni famiglia ha lasciato la propria impronta, proprio come le incisioni sui ferri di cottura.
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