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il disastro ferroviario

«Quella notte non dovevamo essere lì». Le altre ombre sulla tragedia di Brandizzo

Il caposquadra della Sigifer, Gibin: «Bisognava lavorare un chilometro più in là, verso Milano». E Massa non parla

La strage di Brandizzo è costata la vita a cinque operai

La strage di Brandizzo è costata la vita a cinque operai

Quello delle 23.46 a Brandizzo, la notte della strage, doveva essere l’ultimo treno della giornata. Lo ha dichiarato, nel suo interrogatorio, Andrea Girardin Gibin, il caposquadra della società Sigifer, la ditta che la notte del drammatico incidente costato la vita a cinque operai stava operando sui binari della stazione ferroviaria di Brandizzo. «A detta di Massa, quello era l’ultimo treno». Massa, il Massa di cui parla Gibin, è Antonio Massa, il caposcorta di Rfi: sopravvissuto alla tragedia, è indagato anche lui. «Passato quel treno, quello delle 23.46, i ragazzi si sono diretti ai binari, portando l’occorrente. E Massa ci ha detto che per fare quel lavoro noi avevamo un’ora e mezza di tempo». Alle 23.49 passerà, invece, il convoglio che ha ucciso i cinque operai: Michael Zanera, Kevin Laganà, Giuseppe Sorvillo, Giuseppe Saverio Lombardo, Giuseppe Aversa. Convinti di essere al sicuro, di poter lavorare tranquillamente senza rischi. Gibin e Zanera erano i saldatori del gruppo. Dovevano lavorare in contemporanea. Laganà stava svitando la rotaia. E poi il momento dell’incidente. «E’ stata una frazione di secondo. Ho alzato la testa e non ho più visto i ragazzi», così Gibin.

Ma c’è di più. «Voglio aggiungere - dice il caposquadra di Sigifer - che quando Massa mi ha comunicato che avevamo un’ora e mezza, se avessimo avuto bisogno di più tempo, ci avrebbe concesso quello necessario. Che si sarebbe preoccupato di fare le telefonate per far sì che l’interruzione potesse durare il tempo a noi necessario». L’interruzione, quella al traffico, c’era? Non c’era? «Per me, quando Massa ha dato il via libera ai lavori, era tutto ok». Dalla relazione del Ministero dei Trasporti, che sta conducendo un’inchiesta parallela a quella della Procura di Ivrea, si legge, invece, che Massa non aveva dato nessuna direttiva ufficiale. Alle 22.29 aveva parlato con Vincenza Repaci, capostazione di Chivasso, per concordare l’interruzione della circolazione. E alle 23.47 la chiede. A voce. Ma c’è un altro dettaglio che risulta dall’interrogatorio di Gibin. «Quella notte non sapevamo di dover lavorare in quel punto. Eravamo rimasti in un altro modo: il programma che mi era stato mandato prevedeva un’operazione sempre a Brandizzo, ma un chilometro più in là, verso Milano». Gibin afferma anche che spesso lavoravano, la notte, sui binari. E’ usuale. Cosa succede se non si finisce in tempo un lavoro? «A me non è mai successo - rivela nel suo interrogatorio - ma ho saputo che è capitato a un collega e so che ci sono sanzioni pesanti (per l’impresa, ndr)». Quanto pesanti, le sanzioni? «Migliaia di euro al minuto».

Ma non sarebbe stato quello il caso. «Quella notte avremmo finito in tempo, all’una e mezza in punto. E saremmo stati pagati comunque fino alle sei del mattino». L’interruzione prevista, quella che ci doveva essere, infatti, era da mezzanotte e un minuto all’una e mezza. Ed era tutto calcolato. Perché ci vuole mezz’ora prima che il treno possa transitare sulle saldature. Ma non c’è solo l’interrogatorio di Andrea Girardin Gibin. La strage di Brandizzo del 30 agosto 2023, con la morte dei cinque operai, presenta ancora tantissime ombre sulla dinamica di come sono andati i fatti. Ombre che vengono anche raccontate nelle intercettazioni telefoniche dei protagonisti, nella relazione degli agenti della polizia ferroviaria, nei documenti dello Spresal. Nessun interrogatorio, per Massa, che si è avvalso della facoltà di non rispondere.

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