Gurro è uno di quei luoghi che ti sorprendono senza preavviso. Arrivi in fondo alla Valle Cannobina, tra boschi fitti e pendenze che guardano il Verbano, e all’improvviso hai la sensazione di essere finita altrove. Un altrove che non profuma di Italia, ma di Highlands, di tartan e leggende. E invece sei qui: tra le Alpi piemontesi, in un borgo minuscolo che da secoli coltiva una storia a metà tra realtà e racconto.
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Le radici, le prime, sono ben più antiche della Scozia. Nel 1837, in località Mergugno, emerse una necropoli romana: tombe, monete, utensili, la prova che qualcuno viveva qui già molto prima dei miti. Le prime fonti scritte del paese risalgono invece al XIV secolo, quando Gurro era uno dei tanti insediamenti montani, isolati e operosi.
Poi arriva la leggenda, quella che ha definito tutto. Secondo la tradizione, dopo la Battaglia di Pavia del 1525, alcuni mercenari scozzesi al servizio di Francesco I avrebbero tentato di tornare verso nord, ma l’inverno chiuse i passi alpini. Bloccati dalla neve, si sarebbero fermati nella valle. E in quella sosta forzata avrebbero deciso di restare proprio qui, perché i pascoli, le pendenze e i boschi ricordavano loro le terre di origine.
È una storia che conquista, e i gurresi la custodiscono attraverso dettagli che, per loro, parlano da soli. Nel dialetto, che secondo ricerche popolari conterrebbe centinaia di parole di origine gaelica. Nei cognomi come Pattriti, Donaldi, Gibi, ricollegati ai clan Fitzpatrick, MacDonald, Gibb. Persino in alcune travi delle case, disposte a croce di Sant’Andrea.
Gli storici, però, restano cauti: molte di queste connessioni sono considerate non documentate, e la stessa Wikipedia invita alla prudenza. Eppure, nel 1973, un evento ha consolidato ufficialmente questa identità simbolica: il tenente colonnello Robert Gayre of Gayre and Nigg, barone di Lochoreshyre, dichiarò gli abitanti di Gurro parte del suo Clan Gayre. Da lì nacquero l’adozione, gli stemmi, il kilt verde ufficiale e lo sporran conservati ancora oggi nel Museo Etnografico di Gurro.
Il museo è un viaggio dentro la vita alpina di un tempo: utensili in legno, telai, strumenti per filare lana e canapa, costumi tradizionali con gonne, tartan, scialli. Un archivio vivente di una valle che ha fatto della manualità e della resistenza una storia quotidiana.
Oggi Gurro conta circa 167 abitanti. Un numero che racconta tutto: la battaglia contro lo spopolamento, il destino comune di molti borghi di montagna. Qui, però, è il mito stesso a mantenere il paese in piedi. Ogni seconda domenica di luglio, la festa si riempie di tartan, cornamuse e kilt. La piazza conserva la targa del clan. E, secondo fonti locali, persino la BBC venne a documentare l’adozione del 1973.
Cos’è allora Gurro? Un luogo dove storia e narrazione si intrecciano fino a diventare identità. Un laboratorio culturale che indossa un’anima scozzese senza smettere di essere profondamente piemontese. Un paese che ha scelto di dare valore a una leggenda, trasformandola in cohesione, curiosità e turismo.
Tra le case di pietra, le vie strette e i sentieri della Cannobina, Gurro continua a vivere sospeso tra realtà e immaginazione. Un piccolo angolo di Scozia, sì. Ma soprattutto un borgo che ha trovato, nel suo mito, un modo per restare vivo.