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I grandi gialli del Piemonte

Ottocento
Brutti tempi, quelli della fine del sogno napoleonico. Poteva capitare di essere uccisi per un nonnulla, perché rivalità personali e odio politico si miscelavano. Ed ecco la sera del 5 dicembre 1814, a Pont Ivrea, frazione di Pareto, quando alcuni colpi di arma da fuoco furono diretti contro Alessandro Novelli e Stefano Mignone, tranquillamente seduti in casa di un amico. L’attentatore li aveva attesi sistemato poco fuori l’abitazione a aveva sparato dalla porta rimasta socchiusa.

Si chiamava Bartolomeo Bacino detto il Morino; a dispetto del nome gentile, il Bacino non era un galantuomo. Sicuramente, non aveva nemmeno una buona mira perché non riuscì nemmeno a ferire gravemente i due nemici, che se la cavarono con poco. Per il Senato di Piemonte, che lo processò in contumacia, il Bacino ne aveva commessa una così grossa da meritare la pena capitale. Ma vallo a ripescare, chissà dove era finito.

Fu acciuffato in quel di Acqui Terme soltanto nell’anno 1819, e il Senato non fu per niente clemente con un malfattore inserito nel registro “di secondo catalogo”, dei banditi datisi alla macchia. La forca sembrava a lui destinata e Bartolomeo Bacino detto Morino si convinse di dover finire entro breve i suoi giorni. Ma fu fortunato. Vittorio Emanuele I, re di Sardegna, fu indulgente con lui e commutò la sua pena a 20 anni di galera. Visti i trattamenti riservati all’epoca e l’assoluta assenza di misure come lo sconto di pena, il nostro ex latitante sicuramente non brindò alla clemenza del re.
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