l'editoriale
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14 Febbraio 2023 - 07:57
Era nato a Nizza, Giuseppe Garibaldi. E con il Piemonte aveva un rapporto di amore-odio. Amore, perché Nizza a quel tempo era nel Regno di Sardegna e aveva un legame plurisecolare con il Piemonte; odio, perché quello guidato dai Savoia era uno dei regni più reazionari d’Europa, e Garibaldi era rivoluzionario fin nel midollo. Aveva combattuto la reazione fin da giovane, e come esito dei suoi sforzi era dovuto emigrare in America: in patria, infatti, c’era un bel capestro che attendeva non solo lui. Lui e i suoi accoliti, perché i carbonari e i mazziniani erano decisamente malvisti. D’altronde, come dare torto ai questori di allora? Dalle sètte era nata la Rivoluzione francese, che tanto sangue aveva sparso in Europa. Erano stati i settari e i filosofi à-la-page che avevano avviato il processo rivoluzionario, astutamente fatto passare per un movimento popolare, laddove invece la quasi totalità delle vittime appartenne agli strati più bassi della popolazione.
Garibaldi, però, ci credeva. Credeva nella favola bella della Rivoluzione sorta dal popolo, condotta dal popolo e vinta dal popolo. E ci credette per tutta la vita. Il fatto di essere un coriaceo idealista che non si voleva piegare all’evidenza delle cose lo rese il Garibaldi che sappiamo: possiamo ben dire che fu uno degli ultimi sognatori, un cocciuto e romantico sognatore a occhi aperti. Eppure… Eppure sono le idee che guidano la storia. Sono le idee - giuste o sbagliate, poco importa - che muovono le persone. I soldi, forse. L’amore, anche. Ma soprattutto, le idee. Un uomo con un’idea è come un uomo con un fucile: solo che l’uomo con il fucile prima o poi si trova senza munizioni, mentre le idee durano per sempre. Per questo motivo Garibaldi smosse migliaia e migliaia di giovani: erano per lo più ragazzi, e i ragazzi ai sogni ci credono più degli adulti. È per questo che le cose grandi, le cose che fanno la storia, si fanno da giovani. Ed è per questo motivo che Garibaldi trovò schiere di volontari per le sue imprese, anche le più strambe e rischiose; ed è per questo motivo che polarizzò la società, dividendola tra i giovani e i vecchi, tra i novatori e i conservatori, tra i rivoluzionari e i contro-rivoluzionari.
Ancora oggi è così: nessun protagonista del Risorgimento è divisivo come Garibaldi, il quale - proprio perché sognatore - non si curava di piacere a tutti. Anzi, si lanciava con impeto in ogni battaglia ideologica, portandola agli estremi. In politica? Rosso come il fuoco, rosso come rosse erano le sue - dicono - mille camicie rosse. In fatto di religione? Laureato cum laude alla scuola dei mangiapreti, dove la lode era la manifesta affiliazione alla massoneria, della quale fu alla guida per un breve periodo. Non a caso Garibaldi divenne un “marchio di fabbrica” della sinistra. Il volto del Nizzardo fu il simbolo del Fronte Democratico Popolare, la lista che teneva insieme il Partito Comunista e il Partito Socialista nelle elezioni del 1948. E tuttavia per molto tempo il sognatore e divisivo Garibaldi fu il simbolo dell’unità italiana e fu, si può proprio dire, l’italiano più celebre del mondo. Capelli lunghi alla Nazarena, fisico statuario, volto dallo sguardo magnetico. Ce n’era per fare di lui un’icona pop ante litteram. Manco a farlo apposta, “pop” sono le camicie rosse, “pop” i Mille, “pop” il suo mitico poncho, “pop” fu perfino la sua ferita sull’Aspromonte nel 1862, quella che ancora adesso i bambini cantano cambiando volta per volta le vocali. Qualunque cosa toccasse l’Eroe, diventava leggenda. Càpitano, a volte, uomini così. Uomini leggendari perché hanno saputo credere in qualcosa. Uomini che, poiché hanno creduto, sono diventati eroi. “Sventurata la terra che ha bisogno di eroi”, asserì Bertolt Brecht: significa che le cose stanno andando male. E noi, che non crediamo più a nulla, che non abbiamo ideali e che non conosciamo più i valori di patria, di stato e di morale, dobbiamo purtroppo dare ragione a Brecht e rimpiangere i sognatori che, nel bene o nel male, almeno credevano in qualcosa.
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