l'editoriale
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14 Marzo 2023 - 07:40
Dici Erasmo e pensi alle vacanze-studio (o supposte tali, con poco studio e tante vacanze...) di migliaia di studenti europei. Chissà cosa direbbe oggi Erasmo da Rotterdam, il più celebre pensatore dell’umanesimo cristiano, che ha a sua insaputa fornito il proprio nome al noto progetto di mobilità studentesca. Pochi sanno che Erasmo legò il suo nome anche a Torino. Anzi, diede alla città sabauda un curioso slancio culturale, perché il pensatore olandese si laureò proprio qui, in Piemonte, ottenendo il titolo di dottore in teologia. Era il 4 settembre 1506 e la città di Torino, piccola e ancora assai arretrata rispetto alle altre città italiane, poteva tuttavia fregiarsi di avere un’università che era già celebre in Europa. L’aveva fondata, un secolo prima, Ludovico di Savoia-Acaia, signore di Piemonte, che recependo le richieste di alcuni docenti di Pavia e di Piacenza, fondò un istituto che avrebbe avuto una lunga vita. Un’università giovane, dunque: era il 1404 e l’inaugurazione dell’università venne ufficializzata da una bolla dell’antipapa Benedetto XIII.
Quando si laureò Erasmo, l’ateneo torinese esisteva perciò da appena un secolo; il filosofo olandese all’epoca non aveva ancora scritto la sua opera più famosa, “L’elogio della follia”, ma aveva già 40 anni, aveva viaggiato per mezza Europa ed era un autore già fecondo. Sorprende, dunque, che sia uscito dall’università torinese con la semplice menzione di “idoneo e sufficiente”. Forse, gli esaminatori (e specialmente fra Bernardino de Pirro) potevano essere più generosi, anche tenendo conto dell’importante ricavo in termini di immagine che il filosofo olandese apportò. Infatti, oggi come allora le facoltà acquistavano importanza grazie ai professori che vi insegnavano e agli alunni che vi si laureavano. Se poi quegli alunni erano destinati ad un successo imperituro, beh, voleva dire che anche sulla facoltà si sarebbe riversata una parte di quella fortuna.
Ed Erasmo ebbe davvero una fama notevolissima. All’epoca, era sicuramente uno dei pensatori più noti del mondo. Curò una delle edizioni commentate dell’originale greco del Nuovo Testamento, pose le basi per uno studio critico laico delle Sacre Scritture, scrisse opere divenute dei classici, come “L’Elogio della follia”. Dedicato all’amico Tommaso Moro, “l’Elogio della follia” si presentò come una critica spietata e al contempo ironica e giocosa sui mali del mondo e della Chiesa dell’epoca in particolare. Chiesa che dava un ben triste spettacolo, alle prese con papi corrotti e nepotisti, indulgenze compravendute, imbarazzanti livelli di ignoranza e di credulità. Erasmo voleva riformarla, la Chiesa; ma voleva farlo senza mandarla in pezzi, come stava facendo quel monaco agostiniano che con le sue 95 tesi aveva avviato la metastasi del cattolicesimo: Martin Lutero. Eh sì, Lutero. Erasmo non accettò la Riforma luterana, ma Lutero lo volle a tutti i costi con sé. Era ossessionato da Erasmo e cercò di convincerlo ad abbracciare il protestantesimo (per poter acquisire un importante “testimonial”). Erasmo però rimase cattolico, pur condannando onestamente i troppi errori e il vergognoso lassismo della Chiesa di allora. Aveva la schiena dritta, Erasmo.
Insegnò a Cambridge, poi divenne consigliere personale dell’imperatore Carlo V; il tutto, senza smettere di viaggiare per il continente europeo, anche in anni di costanti conflitti. Solo negli ultimi anni della sua vita stabilì finalmente il suo insediamento a Basilea, in Svizzera. «Tutta la vita umana non è se non una commedia, in cui ognuno recita con una maschera diversa, e continua nella parte, finché il gran direttore di scena gli fa lasciare il palcoscenico», scrisse ne “L’Elogio della follia”. Ecco: a Basilea egli lasciò il palcoscenico, cioè finì i suoi giorni, la notte del 12 luglio 1536.
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