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La “super variante” arriva da Novara

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La prima “super variante” italiana. Forse peggiore delle mutazioni già intercettate. Capace di resistere agli antidoti in uso, per caratteristiche che la renderebbero «immunodominante» e capace di «cambiare l’efficienza dei vaccini». Una combinazione di quella inglese e nigeriana, più altre quattro mutazioni finora non associate ad alcun ceppo in particolare, ora, sotto la lente di ingrandimento del laboratorio Cerba di Milano. Ed è arrivata da una paziente di Novara. A scoprirla è stato il virologo Francesco Broccolo dell’Università Bicocca che, però, preferisce restare in attesa dei risultati sul sequenziamento dell’intero genoma prima di darle un nome. Uno studio che è tutt’ora in corso al Ceinge dell’Università Federico II di Napoli. Secondo lo stesso Broccolo, infatti, sarebbe «presto per parlare di una nuova variante» ma la combinazione di precedenti mutazioni è confermata.

Un nuovo supervirus

«Di certo sappiamo di trovarci di fronte a un mix di mutazioni, la cui combinazione finora non era mai stata rilevata» sottolinea il virologo della Bicocca. In buona parte il virus osservato somiglia alla variante nigeriana, in parte a quella inglese e in più ha quattro mutazioni non caratteristiche di altre già note. Di queste, due agiscono sulla proteina Spike, che il Covid utilizza per agganciarsi alle cellule ed è anche il principale bersaglio dei vaccini. Una si chiama M153T e l’altra V401L, finora rilevata in Italia solo in Veneto e altre 17 volte nel mondo. «È in corso uno studio di modelling e su isolato virale per comprendere l’attività sinergica delle diverse mutazioni sulla capacità infettiva e sulla resistenza agli anticorpi neutralizzanti evocati dai vaccini» ha aggiunto Broccolo, ricordando che solo grazie allo “screening” è stato possibile fare la scoperta. «Questo caso ci insegna che bisogna sequenziare ogni volta che si identificata».

L’inglese è all’80%

Nel frattempo in Piemonte non che manchino le preoccupazioni sulla variante inglese. «Siamo all’80%» spiega l’infettivologo Giovanni Di Perri che, senza entrare nel merito della nuova scoperta, per i prossimi mesi si attende «un fiorire di potenziali varianti» perché molti laboratori sono concentrati sulla ricerca attraverso la sequenza genetica del virus. La corsa di quella inglese, però, non si è certo fermata. Anzi, pare abbia confermato tutto il proprio potenziale. «Al momento nei nostri laboratori abbiamo quattro casi di varianti inglese isolati ogni cinque».

 
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