Dopo sessanta giorni di ricovero nelle Rsa il pagamento di tutte le spese di ricovero “post acuzie” resterà a carico delle famiglie anche per i malati non autosufficienti dimessi dagli ospedali. Il Tardel Piemonte, infatti, ha respinto la richiesta di sospensiva avanzata dalle associazioni Fondazione promozione sociale, Alzheimer Piemonte e Amici Parkinsoniani Piemonte sulle delibere della Regione che, tra giugno e luglio, hanno ridefinito le regole riguardo la continuità delle cure.
Il Tribunale amministrativo del Piemonte non si è pronunciato sul merito del ricorso ed è per questo che i ricorrenti hanno depositato un’istanza per chiedere «immediatamente» di fissare una nuova udienza per discutere nel merito della richiesta di sospensiva bocciata dai giudici. «Continuiamo nella difesa dei casi singoli per i quali le Asl dispongono l’interruzione delle cure, loro sì a rischio della vita se non curati adeguatamente» commenta Maria Grazia Breda, presidente della Fondazione promozione sociale che, proprio ieri, ha consegnato la seconda parte del “dossier” con le denunce e le segnalazioni dei parenti a cui le strutture hanno già sottoposto contratti di ospitalità e preventivato una spesa di circa 3mila euro al mese per non dimettere gli ammalati.
«Dimissioni per chi non paga»
L’ultima è quella di A. C., malata cronica non autosufficiente per la quale il medico aveva prescritto, lo scorso 22 settembre, «prestazioni sanitarie e sociosanitarie indifferibili in relazione al quadro clinico e patologico riscontrato». Peccato che poco meno di un mese dopo il figlio abbia ricevuto dalla Rsa presso cui la madre è stata ricoverata dopo una degenza in ospedale una lettera in cui da un giorno all’altra la paziente sarebbe stata «dimissibile». E questo «per effetto delle nuove disposizioni della Regione» secondo la Fondazione promozione sociale che denuncia come siano molti i gestori delle strutture portati «a dichiarare cessato il ricovero, senza valutare la reale condizione clinica del malato e la possibilità concreta di rientro effettivo al domicilio».
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Una valutazione che, in questo caso, non avrebbe permesso di continuare il percorso assistenziale dell’anziana donna all’interno della Rsa in cui era stata accolta dopo il ricovero in ospedale nonostante le fossero state diagnosticate «polipatologie a carattere cronico degenerativo, moderatamente stabili da un punto di vista clinico, associate a deficit di autonomia funzionale di grado medio e a un eventuale deterioramento cognitivo di grado variabile». Una condizione clinica che indica «bisogni sanitari di moderata complessità e bisogni assistenziali di media intensità» con una dotazione minima quotidiana di 18 minuti di infermiere dedicato e ogni giorno di un’ora e mezza di prestazioni cosiddette «tutelari» ritenute, però, «differibili» dall’Unità di valutazione geriatrica per cui la Rsa ha proposto alla famiglia dell’ammalata di proseguire il ricovero sanitario solo dopo aver firmato un contratto per una “retta” da 3mila euro al mese.
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